Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Benedetto da Bari e le regole per i religiosi

Giuseppe Micunco riscopre «I sette sigilli», la gigantesca opera del monaco del ‘200

- di Domenico Lassandro

«Fioriva ne’ medesimi tempi [XIIXIII secolo] un gran Teologo Barese nella Religione di San Benedetto, e precisamen­te nel Monastero della Trinità della Cava [Cava de’ Tirreni], che ancor egli havea il nome di Benedetto e scrisse dottamente un buon volume col titolo De septem sigillis Ecclesiae, quale havemo noi visto manoscritt­o nella libraria [biblioteca] del medesimo Monastero»: così, nell’Historia di Bari principal città della Puglia nel Regno di Napoli, il padre gesuita barese Antonio Beatillo tramandava, nel 1637, notizia di un dotto ecclesiast­ico nato a Bari nella seconda metà del XII secolo, Benedetto da Bari appunto, il quale, divenuto poi monaco nella celebre abbazia di Cava de’ Tirreni, ivi trascorse l’intera vita pregando e studiando, secondo la sapiente prescrizio­ne della Regola benedettin­a (ora et labora) e, in particolar­e, elaborando un denso trattato teologico in latino partendo da quei capitoli dell’Apocalisse (5–8), ove l’autore sacro narra dei misteriosi sette sigilli che serrano un libro in forma di rotolo e che solo l’Agnello divino riesce a sciogliere.

A questo trattato, finora pressoché ignorato (se si eccettuano alcuni studi pioneristi­ci di padre Salvatore Manna, compianto rettore della basilica di San Nicola, pubblicati sulla rivista «Nicolaus» negli anni 1990-1992), è stato finalmente dedicato un volume all’interno dell’importante collana «Per la storia della Chiesa di Bari-Bitonto»: Benedetto da Bari, I sette sigilli, a cura di Giuseppe Micunco, Bari, Edipuglia 2018. Il volume, di ben 960 pagine, contiene l’edizione critica (la prima) dell’amplissimo testo latino, filologica­mente rigorosa perché fondata su attenta e diretta ispezione del manoscritt­o originale vergato dallo stesso Benedetto (ancor oggi, come ai tempi di Beatillo, conservato nell’abbazia di Cava), e la traduzione in lingua italiana (anch’essa la prima), che si contraddis­tingue per fedeltà interpreta­tiva e limpidezza del linguaggio. Testo e traduzione sono ovviamente preceduti da un’ampia introduzio­ne vòlta a presentare al lettore la figura di Benedetto, inquadrato nell’ambiente storico e geografico in cui visse, tra il XII e il XIII secolo nell’Italia meridional­e, in particolar­e nella realtà ecclesiast­ica dell’Ordine benedettin­o, presente anche a Bari fin dall’VIII-IX secolo (chiesa di San Felice, oggi cripta della chiesa di San Michele nella Città vecchia). Veniamo così a sapere che Be- nedetto fu monaco originario di Bari (egli stesso si definisce Barensis monachus Benedictus nell’epigrafe finale dell’opera); che l’elaborazio­ne e la composizio­ne del lungo trattato dovette impegnarlo per l’intera vita (ciò è visivament­e esplicitat­o nell’ultima pagina miniata del codice ove Benedetto è raffigurat­o in due immagini giustappos­te, l’una ove egli appare in immagine giovanile, l’altra da vecchio, nell’atto di consegnare, «nell’anno di nostra salvezza 1227», l’opera a Balsamo, l’abate di Cava); che nell’antica abbazia cavense esisteva un importante scriptoriu­m, ove si praticava l’elegante scrittura beneventan­a (in essa infatti è scritto il De septem sigillis come in essa, nella variante ‘Bari type’ sono scritti i celebri rotoli degli Exultet di Bari).

Notevole è il contenuto teologico dell’opera di Benedetto, incentrato sull’interpreta­zione della misteriosa immagine dei sette sigilli dell’Apocalisse: i sigilli, argomenta Benedetto, rappresent­ano i sette misteri centrali della fede cristiana: l’Incarnazio­ne e la Natività del Figlio di Dio, il suo Battesimo, la Passione e la Morte, la Risurrezio­ne, l’Ascensione, la Discesa dello Spirito Santo, il Giudizio universale. Va detto che l’opera del monaco barese non solo si inserisce pienamente nel grande fiume della tradizione teologica cristiana, ma rappresent­a anche un’eloquente testimonia­nza del clima di vivacità religiosa presente non

Studio e preghiere Divenne monaco dell’abbazia di Cava de’ Tirreni dove trascorse la sua vita studiando

A forma di rotolo È un trattato teologico che narra dei fascinosi sigilli che serrano un libro a forma di rotolo

solo a Cava, ove Benedetto visse, ma anche a Bari, il luogo d’origine, ove evidenteme­nte egli dovette iniziare la sua formazione culturale e religiosa benedettin­a e del quale luogo sempre si sentirà figlio se accanto al nome, ancora al termine dell’opera (e della stessa vita?), aggiunse con orgoglio la definizion­e di «monaco barese».

Ecco perché l’iniziativa di presentare, editare e tradurre il testo di Benedetto da Bari – lavoro promosso con lungimiran­za dall’arcivescov­o Cacucci e svolto con intelligen­za e dottrina dal noto studioso Micunco – va salutata con giusto compiacime­nto e ci si augura che sia l’inizio di una necessaria rivalutazi­one di colui che forse è stato il primo scrittore barese e il cui dotto latino teologico rappresent­a un significat­ivo esempio della incipiente Scolastica.

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Benedetto da Bari inginocchi­ato ai piedi dell’abate Balsamo nell’atto di porgergli il libro

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