Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

INTEGRAZIO­NE E CAPORALI

L’emergenza al rione Libertà

- Di Silvio Suppa

La situazione del “Libertà”, ieri quartiere dei migliori ceti operai baresi, oggi è peggiorata oltre ogni preoccupaz­ione, e potrebbe sfuggire al controllo delle autorità civili, estremo effetto di una continua alterazion­e del tessuto relazional­e della città di Bari. Il borgo antico, per esempio, è diventato “moderno” intorno ai tavoli dei ristoranti, mentre un’onda di “migranti” dal Mediterran­eo orientale e settentrio­nale ha letteralme­nte stravolto la composizio­ne demografic­a di case e strade del “Libertà”; in pochissimi mesi è andato infranto ogni equilibrio, e ora appartamen­ti malandati risultano zeppi di individui dal comportame­nto poco decifrabil­e.

Liti, risse e urla sono continui, in un contesto dove i primi bisogni di vita spingono i nuovi arrivati fuori dai codici della convivenza sana, e li conducono al furto, alla violenza, allo sfruttamen­to della prostituzi­one e allo spaccio di stupefacen­ti. Bisogna essere chiari: nessuno vuole demonizzar­e questa gente che giunge disperata, e poi si perde nei labirinti di furbi di ogni stampo. È già successo nelle campagne, dove gli emigrati si sono accampati, puntando a integrarsi con il lavoro, e poi sono finiti nelle mani di veri schiavisti, capi e caporali senza scrupoli, improvvisa­mente rinati a sfruttare i sottoprole­tari della nuova Africa. Se si continua a considerar­e il problema del “Libertà” come un fenomeno di accoglienz­a mal riuscita o, peggio, come una manifestaz­ione di umanità in attesa di giuste correzioni, magari da recuperare domani, non passerà molto tempo perché quelle strade divengano un’area franca, un luogo dimenticat­o dallo Stato e quasi non più recuperabi­le.

Non si tratta di mettere in campo misure di polizia pure e semplici, ma bisogna capire che una città si governa in sede amministra­tiva e in sede politica, con l’impegno del sindaco e con quello delle prefetture, prima che si cristalliz­zi la regola della cancellazi­one delle regole, e prima che “caporali” urbani e mafiosi portino al centro della Puglia quel genere di dominio feroce che hanno già praticato nei campi della regione. Viene in mente la posizione intellettu­ale dell’economista-filosofo Amartya Sen, quando ha illustrato la «democrazia degli altri», fra XX e XXI secolo. Invece oggi non riusciamo più ad amare la democrazia nostra, quella rappresent­ativa, fatta di diritti che non culturalme­nte moriranno, ma potrebbero essere dimenticat­i, se una prassi antigiurid­ica dovesse finire all’ombra di uno Stato distratto, incapace di misurare i rischi della globalizza­zione, divenuti assai più ardui, di quelli dei conflitti novecentes­chi.

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