Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
INTEGRAZIONE E CAPORALI
L’emergenza al rione Libertà
La situazione del “Libertà”, ieri quartiere dei migliori ceti operai baresi, oggi è peggiorata oltre ogni preoccupazione, e potrebbe sfuggire al controllo delle autorità civili, estremo effetto di una continua alterazione del tessuto relazionale della città di Bari. Il borgo antico, per esempio, è diventato “moderno” intorno ai tavoli dei ristoranti, mentre un’onda di “migranti” dal Mediterraneo orientale e settentrionale ha letteralmente stravolto la composizione demografica di case e strade del “Libertà”; in pochissimi mesi è andato infranto ogni equilibrio, e ora appartamenti malandati risultano zeppi di individui dal comportamento poco decifrabile.
Liti, risse e urla sono continui, in un contesto dove i primi bisogni di vita spingono i nuovi arrivati fuori dai codici della convivenza sana, e li conducono al furto, alla violenza, allo sfruttamento della prostituzione e allo spaccio di stupefacenti. Bisogna essere chiari: nessuno vuole demonizzare questa gente che giunge disperata, e poi si perde nei labirinti di furbi di ogni stampo. È già successo nelle campagne, dove gli emigrati si sono accampati, puntando a integrarsi con il lavoro, e poi sono finiti nelle mani di veri schiavisti, capi e caporali senza scrupoli, improvvisamente rinati a sfruttare i sottoproletari della nuova Africa. Se si continua a considerare il problema del “Libertà” come un fenomeno di accoglienza mal riuscita o, peggio, come una manifestazione di umanità in attesa di giuste correzioni, magari da recuperare domani, non passerà molto tempo perché quelle strade divengano un’area franca, un luogo dimenticato dallo Stato e quasi non più recuperabile.
Non si tratta di mettere in campo misure di polizia pure e semplici, ma bisogna capire che una città si governa in sede amministrativa e in sede politica, con l’impegno del sindaco e con quello delle prefetture, prima che si cristallizzi la regola della cancellazione delle regole, e prima che “caporali” urbani e mafiosi portino al centro della Puglia quel genere di dominio feroce che hanno già praticato nei campi della regione. Viene in mente la posizione intellettuale dell’economista-filosofo Amartya Sen, quando ha illustrato la «democrazia degli altri», fra XX e XXI secolo. Invece oggi non riusciamo più ad amare la democrazia nostra, quella rappresentativa, fatta di diritti che non culturalmente moriranno, ma potrebbero essere dimenticati, se una prassi antigiuridica dovesse finire all’ombra di uno Stato distratto, incapace di misurare i rischi della globalizzazione, divenuti assai più ardui, di quelli dei conflitti novecenteschi.