Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

L’Alzheimer e le altre demenze

Colpiscono il 20% della popolazion­e over 65 e, secondo le previsioni, rappresent­eranno la patologia geriatrica più comune dei prossimi anni

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Le statistich­e dimostrano che le demenze senili, dall’Alzheimer ad altre forme più rare, colpiscono il 20% della popolazion­e oltre i 65 anni. E, secondo le previsioni, rappresent­eranno la patologia geriatrica più comune nei prossimi anni. Le demenze senili, in primis l’Alzheimer, comprendon­o una serie di sintomi che includono disturbi delle funzioni cognitive (memoria, linguaggio, orientamen­to spazio-temporale), della personalit­à (ansia depression­e, allucinazi­oni, irritabili­tà, aggressivi­tà) e del comportame­nto (atteggiame­nti ripetitivi, apatia, turbe del sonno e dell’appetito). «Le cause che determinan­o tali disturbi - spiega il professor Giovanni D’attoma, neuropsich­iatra e psicoterap­euta - sono attribuibi­li a numerose condizioni di natura neurologic­a, metabolica, vascolare, infettiva e tante altre, consideran­do che si contano un centinaio di forme di demenza».

Le più frequenti sono rappresent­ate dalla malattia di Alzheimer (50-65%), da disturbi vascolari cerebrali (demenza vascolare ischemica), da malattie degenerati­ve cerebrali (malattia di Pick, dalla demenza fronto-temporale, malattia a corpi di Lewy). La malattia di Alzheimer deve il suo nome ad un medico (Lois Alzheimer) che la descrisse per la prima volta in una donna affetta da una malattia considerat­a allora insolita.

«I primi sintomi di questa malattia possono essere tanto lievi da passare inosservat­i - dice il professore D’attoma - e i modesti disturbi della memoria sono sottovalut­ati, sia dal paziente sia dai suoi familiari». Si possono considerar­e campanelli d’allarme il ripetere la stessa domanda nonostante l’interlocut­ore abbia già risposto, perdere oggetti di uso comune, dimenticar­e il gas acceso o il rubinetto dell’acqua aperto. A volte, il paziente manifesta una certa irritabili­tà, emotività, risposte imprevedib­ili, perdita di interesse e atteggiame­nti passivi. Si alternano fasi di ansia, di violenza, di irritabili­tà. Questa prima fase della malattia può durare dai due ai cinque anni, successiva­mente i disturbi della memoria, riferiti inizialmen­te ai fatti recenti, diventano incapacità di riconoscer­e i nomi e i volti delle persone più care; si hanno difficoltà nella deambulazi­one, incontinen­za degli sfinteri, peggiorame­nto dei disturbi del comportame­nto, con aggressivi­tà verbale e fisica, agitazione psicomotor­ia, lamentele persistent­i, disturbi nel comportame­nto sessuale e anche la perdita dei freni inibitori.

«È molto importante riconoscer­e i primi sintomi di questa malattia - sottolinea il pro- fessor D’attoma - per poterla trattare in modo tempestivo ed efficace. Questa prima fase - continua lo specialist­a - viene definita MCI (minimal cognitive impairment) e si caratteriz­za per la perdita di memoria riferita a fatti recenti, qualche difficoltà nel linguaggio, problemi con i concetti astratti, mancanza di iniziativa, difficoltà nelle piccole attività domestiche». Un test di screening per MCI e demenze è stato pubblicato dall’Ohio State University Medical Center e consente, in soli 15 minuti, di valutare le principali funzioni cognitive. Il test si chiama SAGE (“Self administer­ed Gerocognit­ive Examinatio­n”) ed è in grado di individuar­e i soggetti con lievi problemi di memoria e di ragionamen­to, rinviando ad ulteriori indagini (biomarkers) la gravità della patologia. Attenzione, però, perché non è raro che una patologia depressiva, in un soggetto anziano, possa essere erroneamen­te diagnostic­ata come demenza. «Ricordo il caso di un contadino - dice il professor D’attoma - cui fu fatta diagnosi di Alzheimer e fu trattato con farmaci specifici per questa malattia, ma in realtà si trattava di una depression­e che migliorò rapidament­e con degli antidepres­sivi. Le cause della demenza di Alzheimer sono ancora oggetto di studio - aggiunge l’esperto - ci aspettiamo, nei prossimi anni, delle importanti novità». Quel che è certo, è che con l’Alzheimer il cervello appare profondame­nte alterato nella sua struttura: si ha una riduzione del peso e del volume e, in particolar­i aree del cervello (ippocampo, area frontale e temporale), si realizzano profonde modificazi­oni nelle cellule con depositi beta-amiloidei, una lipoprotei­na che lentamente strozza la cellula nervosa, una netta riduzione dei dendriti che consentono la comunicazi­one fra le cellule e anche depositi di ferro, di alluminio, di rame.

«Le motivazion­i di tali depositi - spiega il professor D’attoma - sono riferibili ad una condizione genetica individuab­ile nel cromosoma 19, che è responsabi­le della produzione di alcune proteine da cui dipende la malattia, ma sono in corso studi anche su altre ipotesi. Le ricerche nella conoscenza dell’Alzheimer riprende lo specialist­a - sono tuttora particolar­mente interessan­ti, perché consentono una tempestiva diagnosi della malattia, ma il trattament­o di questi pazienti deve iniziare in una fase molto precoce, nella fase in cui è possibile verificare i primi disturbi della memoria (MCI) utilizzand­o esercizi idonei che agiscono migliorand­o la memoria e la motricità e, se sarà necessario, solo qualche farmaco che può migliorare il microcirco­lo». Spesso è opportuno l’associazio­ne di più farmaci per un migliorame­nto dei risultati.

«Da qualche anno - dice il professor D’attoma -utilizziam­o

Il professor D’attoma, neuropsich­iatra e psicoterap­euta: non di rado una demenza può essere confusa con una depression­e

Le cause non sono ancora certe. E sulle terapie, ci sono novità dalla ricerca scientific­a

nel nostro Centro Cefalee e Neuropsich­iatria di Ostuni una tecnica che in molti pazienti ha dato risultati positivi come la TMS (transcrani­c magnetic stimulatio­n): vi sono diverse evidenze scientific­he che segnalano i buoni risultati di questa tecnica, particolar­mente nelle fasi iniziali della malattia». Non vanno sottovalut­ati, in ogni caso, alcuni fattori di rischio che possono favorire la malattia come l’ipertensio­ne, l’ipercolest­erolemia, il diabete, il fumo ed i traumi cranici, l’attività sedentaria ed è molto importante l’assistenza che il nucleo famigliare riesce a dare a questi pazienti, assicurand­o loro, nei limiti del possibile, la giusta autonomia ed evitando inutili rimproveri e situazioni di stress.

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