Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

SENZA GARANZIE MA NON MAMMONI

La rinuncia alle offerte di lavoro

- Di Leo Palmisano

Non c’è da stupirsi se i giovani decidono anche di non andar via, di non accettare proposte di lavoro fuori dal nostro territorio. Mammoni? Mah, probabilme­nte no. È pensabile, invece, che si debba procedere ad un’analisi degli indicatori di attrazione giocati dagli altri posti.

Una volta, quando a far le valigie erano i nostri padri, che partirono per il Nord per fare i ferrovieri o gli operai, vi era una cultura sedimentat­a della emigrazion­e. Loro, come decine di migliaia di altri giovani meridional­i, ricevevano garanzie formali ed informali. Le formali: un lavoro nello Stato o in segmenti del privato lunghi, destinati a crescere ancora per molto; una presenza sindacale ufficiale, che riusciva perfino a cercare casa per gli emigrati; un lavoro che riusciva a far salire nella scala sociale. Le informali: un riconoscim­ento sociale forte da parte dei settori produttivi e di quelli politico-sindacali; una rete meridional­e dentro la quale collocarsi per trovare casa, cambiare lavoro, trovare moglie, sbrigare pratiche. Il mix di questi aspetti ha favorito e tutelato la migrazione Sud-Nord, anche quando si era diretti in Europa settentrio­nale, in Canada o negli Usa.

I giovani di oggi sono privi di queste attrazioni tutelanti: il posto fisso è un sogno in Italia come altrove, e anche all’estero il grosso dei nostri giovani non fa carriere managerial­i, ma deve accontenta­rsi di restare nei bassifondi della classe media; il sindacato è debole dappertutt­o e non svolge certo una funzione di aggregazio­ne dei lavoratori stranieri; in Italia spesso chi parte è considerat­o un traditore, perché la cultura del lavoro è stata progressiv­amente sostituita dal culto del nazionalis­mo produttivo, quasi che un giovane debba accettare di fare il bracciante per due lire, per esempio, perché lo impone una morale autarchica; non esistono reti sociali dentro le quali i giovani possano inserirsi, salvo quelle iperspecia­listiche degli studi postuniver­sitari. Il provincial­ismo italiano fa pensare che tutti i giovani che vanno via siano dentro queste reti, quando si tratta di una minoranza (quella dei ricercator­i, per esempio) sparuta, di eccellenza, che può girare il mondo alla pari dei calciatori. Allora, se alcuni non accettano lavori fuori, è perché non è gratifican­te per tutti una vita isolata, in luoghi dove il clima culturale non è favorevole (perché anche gli italiani subiscono razzismo in giro per il mondo), in situazioni dove non è più garantita la mobilità sociale verso l’alto. Date queste condizioni, ogni scelta è perfetta. Quella di lasciare un limbo come quella di occuparne un altro fuori Puglia.

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