Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Caporalato, uno dei tanti problemi La politica al Sud deve dare risposte
Altro che grande bellezza. Al Sud quest’anno e nel 2019 si dovrà parlare di grande frenata. Frenata degli investimenti pubblici, frenata dell’occupazione, disastro per quella giovanile, navigazione a vista per l’Ilva di Taranto, la dolorosa piaga del caporalato.
Il rapporto Svimez, qualche giorno fa, ci ha consegnato un quadro ancor più preoccupante a causa dell’inversione di tendenza in atto degli indicatori relativamente positivi degli ultimi tre anni. Nel 2015 il Pil delle regioni del Mezzogiorno superò la media nazionale. E molti gridarono al miracolo. Quasi un fuoco di paglia. La locomotiva Nord-est nel biennio successivo ha ripreso la marcia. Meno male per l’economia nazionale. Ma c’è dell’altro a preoccupare: negli ultimi 16 anni hanno abbandonato il Sud quasi due milioni di residenti, per metà giovani. Sono andate via competenze, talenti, creatività. Un danno per la spesa sociale del Mezzogiorno. Abbiamo perso storie
individuali e collettive, sicure potenzialità del fare, del saper essere e del saper fare. In questi giorni d’estate, vedendoli tornare, sbucare stanchi di viaggio dalle uscite delle aerostazioni, scendere dai treni e dai moderni torpedoni sulle piazze dei nostri paesi e delle città di Puglia, una stretta al cuore ci prende: semiologia di antica civiltà meridionale che si riconosce ancora nei sacrifici e nell’abnegazione di tanti ragazzi. Di quanto prodotto interno lordo, di quanto valore aggiunto, di quanta umanità ci siamo privati negli ultimi due decenni?
La risposta compete alla politica. Basterebbero le drammatiche cifre dello spopolamento intellettuale, professionale, manifatturiero e del calo demografico al Meridione per far riflettere le classi dirigenti del Sud sulla necessità di elaborare policy per il Sud in grado di recuperare dinamicità, competitività, qualità della vita. Ci si avvia alle elezioni del Parlamento europeo e ci si prepara alle amministrative di Bari e Foggia e di tanti altri centri in Puglia con il rischio, più che certo, di non percepire la drammaticità della condizione di disagio, di precarietà, di rassegnazione delle popolazioni amministrate. Rischio aumentato esponenzialmente da qui a due anni sul rinnovo dell’amministrazione regionale. Che facciamo per arrivare attrezzati ai suddetti appuntamenti? Non disponiamo di ricette miracolose e bacchette magiche. Prenderne atto è il primo segnale di onestà. Smettiamola pertanto di illuderci nelle temerarie scorribande sui social media e nella retorica da strilloni senza più voce. Destra e sinistra non ce la faranno a fornire risposte se continueranno ad arroccarsi su posizioni che si rivelano inadeguate a comprendere la complessità della situazione. C’è molta nostalgia, ma anche acrimonia nei loro ragionamenti. In entrambi i campi ci sono letture che appartengono a canoni contenutistici ed estetici dello scorso secolo. Eppure noi politici dovremmo guardare con attenzione ed ascolto a quanto la società civile sta già facendo per risultare competitiva sui mercati internazionali. Quando mai avremo una politica 4.0? Ci accontenteremmo anche di un ceto politico ed amministrativo 2.0. Populismi e sovranismi non ci appartengono. In Puglia la politica più accorta e più visionaria dovrà elaborare tesi e proposte di superamento dello stallo, arginando improbabili cartelli di posizione e di potere, svelando la faccia spesso gattopardesca del civismo; quindi, spargendosi cenere sul capo e guardando alle figure più rappresentative e responsabili del ceto politico e dovrà elaborare un avanzato progetto di “salute pubblica”, che guardi al ceto moderato ed al mondo liberale e riformista stabilendo che l’Europa ci vuole (ma a diverse condizioni), che le vere emergenze sono l’occupazione, un sistema educativo avanzato, un welfare che produca sicurezze, avvedute politiche industriali ed energetiche (in Puglia non possiamo fare a meno di Tap ed Ilva), la sanità regionale che curi tempestivamente. Senza una policy adeguata per il Sud si prevede un rallentamento tendenziale dell’economia meridionale nel 2019.