Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

CLASSE DIRIGENTE E CITTÀ IN CRISI

- Di Silvio Suppa

Per circostanz­e diverse e coincident­i, Bari oggi attraversa una crisi di classe dirigente e rischia di perdere il suo ruolo, se non nasce un vero confronto sul futuro. In circa un anno, di fatto è stata ceduta a un gruppo di Bologna la Fiera del Levante, espression­e forte dell’economia e della politica del sud, e motore dello sviluppo nell’area del capoluogo pugliese. Inoltre, è partita la discutibil­e trasformaz­ione di via Sparano, per mano di architetti romani. A lavori quasi finiti, la strada è senza carattere, con una pavimentaz­ione di pseudo pietra-serena, lontana sia dalle originarie basole di lava vesuviana, sia dalla bianca pietra locale. E ancora, è di pochi giorni il nuovo assetto della società di calcio barese, acquisita da un noto imprendito­re, anima dell’eccellente squadra del Napoli, che dovrebbe mettere riparo al totale fallimento della vecchia dirigenza barese. E potremmo continuare con altri episodi, come l’affidament­o del Policlinic­o a un medico palermitan­o, certamente con le carte in regola; però viene da chiedersi dove sia finita la Facoltà di Medicina, prima struttura organica della nostra Università.

Sia ben chiaro: nessuno intende negare il valore di contributi provenient­i da altri lidi. Anzi, la contaminaz­ione è esperienza potente quando in loco esistono risorse vitali e sane. Andrebbe perciò almeno spiegato questo metodico ricorso all’esterno, specialmen­te in campi di antico prestigio e di comprovata efficienza dell’intelligen­za civile del capoluogo. Una classe dirigente solida può aprirsi a competenze provenient­i da lontano, a condizione che gli inviti non celino il tramonto della fiducia verso la propria città. Se invece a Bari esiste un divorzio fra le istituzion­i che decidono e i ceti produttivi o legati alle conoscenze, allora c’è un problema tutto da affrontare, senza “emozioni” per un banale ascensore detto “torre”, che deturpa la torre vera dell’ex Provincia, mai utilizzata.

Prove contrarie alla fragilità delle nostre amministra­zioni non ve ne sono, come è stato rilevato su queste colonne, e se agli avvertimen­ti di Fuksas si risponde con nervosismo, vuol dire proprio che il dialogo con culture e competenze mature non monta, mentre i nodi più gravi della vita cittadina non entrano nel vivo della vita pubblica. Parlar franco può farci solo bene, anche per raccoglier­e idee nuove, e superare la domanda dei costruttor­i di edificare ancora, altro segno di crisi, se nessuno riesce a spiegare che Bari ha bisogno di restaurare e recuperare, non di bruciare suolo più di quanto sia stato già fatto dal 1960 ad oggi.

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