Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Ex pallavolista e capopopolo Ecco il Cornacchini inedito
Giovanni Cornacchini, 190 gol e uno scudetto con il Milan Capopopolo ma silenzioso, il tecnico del Bari è un predestinato
Qualche estate fa. Un ristorante affacciato sul mare di Fano. Dentro, Cristiano Giuntoli, Giuseppe Pompilio e Giovanni Cornacchini. È un pranzo tra amici. Diventerà una promessa. Quella che l’avvocato e docente all’Università di Urbino, Pompilio, all’epoca al Carpi con il ds Giuntoli, farà all’allenatore Cornacchini: «Un giorno torneremo a lavorare insieme». Succede adesso, nel nuovo Bari di Aurelio De Laurentiis. Dopo l’esperienza comune nella stagione 2009/2010, a Fano, dove Cornacchini è nato, ha cominciato a giocare e vive da sempre. E dove il calabrese Pompilio si è stabilito proprio dopo l’impresa all’Alma Juventus, ripescata in Seconda divisione, costruita in fretta e furia eppure capace, nonostante l’avvio da 4 punti e un gol in 7 giornate, di arrampicarsi fino al quarto posto (per poi arrendersi al Gubbio nella semifinale playoff). È il seme di un ricongiungimento che si consuma con un po’ di ritardo.
Dunque, Cornacchini. Il pallavolista mancato. Con gli inizi alla Virtus Volley Fano, insieme a Paolo Tofoli, quello della Generazione dei Fenomeni di Julio Velasco. Ma il richiamo del calcio sarà più forte. Dal vecchio amore Cornacchini erediterà la capacità di anticipare gli avversari nello stacco di testa e i salti da gigante, lui che nemmeno raggiunge il metro e settanta di altezza.
Molta meno poesia nel 2003, a Cagli, ottomila abitanti in provincia di Pesaro e Urbino. Lassù, in serie D, Cornacchini segna gli ultimi 19 gol in carriera (sul totale da 190). La Cagliese, forse per sdebitarsi, gli offre la panchi- na, salvo licenziarlo di lì a poco. Cornacchini viene informato da un amico giornalista, solo dopo però che il figlio del presidente lo ha spifferato agli amici, sul pullman, di ritorno da scuola. Roba da dilettanti.
Ma le macchie da lavare via sul serio sono le ultime: Viterbo e Gubbio. Doppio, anzi triplo (il bis nel Lazio) esonero per Cornacchini. Cortocircuiti che hanno scalfito la fama di condottiero pratico e grintoso, il massimo ad Ancona, è il salto nella C unica del 2014. Dopo una carriera sempre a rincorrere se stesso: da attaccante esplode tardi (lo scudetto, anche se da comparsa, nel 1992 al Milan di Berlusconi, il salto in B con il Perugia di Gaucci e la Coppa Italia, da protagonista, a Vicenza nel ‘97); da allenatore si toglie poche soddisfazioni (prima di Ancona, l’Eccellenza vinta a Città di Castello nel 2009).
Bari è per rifarsi. E per svelarsi. Lui così ruvido, ma autentico. Col veleno addosso. Scaramantico (coltiva il vezzo, contro l’invidia, dei laccetti rossi per le scarpe) e slegato da dogmi tattici: ama il 4-3-3, ma senza gli interpreti giusti batte altri sentieri.
Capopopolo silenzioso, abile a plasmare la squadra in un corpo unico e a isolarla da situazioni societarie o ambientali difficili. E in grado di farsi considerare uno di loro, sarà pure per le partitelle di fine allenamento giocate coi suoi ragazzi, quasi un prolungamento delle centinaia di sfide a calcetto tra amici nella sua Fano.
Cornacchini capace, soprattutto, di vincere lo scetticismo che non di rado lo accoglie. Dovrà ripetersi a Bari, che di sicuro gli tirerà fuori il meglio. «Odio i calciatori mosci, ma soprattutto non sopporto le piazze mosce», ha ammesso una volta. Avrà pane per i suoi denti, in Puglia. Potrebbero tornargli utili gli insegnamenti di uno dei suoi maestri: Renzo Ulivieri, che a Bologna trasformava in benzina le polemiche di tifosi e stampa.
E allora sembra di sentirlo, Cornacchini: «Bisogna che mi inventi qualcosa anche stavolta».
La sua filosofia Odio i calciatori mosci ma soprattutto non sopporto le piazze mosce