Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La morte del boss Di Cosola Salvò la moglie pentendosi
Figura di spicco della mafia barese, aveva 64 anni
Tre anni fa aveva deciso di pentirsi per salvare la moglie. Grazie al suo gesto, la donna e il figlio furono messi sotto regime di protezione. Ma ieri mattina Antonio Di Cosola, figura di spicco della mafia barese, è morto all’età di 64 anni nel carcere di Monza (dove era detenuto) probabilmente colto da un attacco cardiaco. Anch’egli era sottoposto a regime di protezione.
Tre anni fa aveva deciso di pentirsi per salvare sua moglie. E grazie al suo pentimento, la donna e il figlio erano stati messi sotto regime di protezione. Ieri mattina, il boss barese Antonio Di Cosola è morto, all’età di 64 anni, nel carcere di Monza dove era detenuto. La causa della morte sarebbe un attacco cardiaco.
Anche il boss, nonostante fosse detenuto, era sottoposto a programma di protezione. La moglie e il figlio, invece, vivono entrambi in una località protetta. Fino alla decisione di collaborare con la giustizia era stato detenuto al regime del 41 bis, il cosiddetto carcere duro. Nel settembre del 2015, rivelò tutti i particolari relativi ai traffici illeciti degli ultimi decenni da lui stesso gestiti e dal clan di cui era il capo. Di Cosola è stato coinvolto nelle più importanti inchieste sulla criminalità organizzata barese e condannato in via definitiva in diversi procedimenti per mafia. Il boss fu coinvolto (poi assolto con rito abbreviato) anche nell’inchiesta Domino, insieme con un altro capo clan barese, Savinuccio Parisi. Ad aprile del 2015, sua moglie Rocca Palladino, di 52 anni, fu arrestata perché ritenuta il tramite fra il marito detenuto e la gestione dei traffici illeciti del suo gruppo criminale. Le sue prime dichiarazioni da collaboratore di giustizia le rese ai carabinieri di Bari e al pm Federico Perrone Capano nel carcere di massima sicurezza di Sassari, dove era ancora sottoposto al regime del carcere duro. Di Cosola parlò dell’omicidio di Giuseppe Mizzi, il 39enne di Bari-Carbonara ucciso per errore in un agguato mafioso nel marzo 2011. Per il delitto sono stati condannati in secondo grado a 20 anni di reclusione Emanuele Fiorentino e Edoardo Bove, ma già in fase di indagini non fu escluso il coinvolgimento di altri pregiudicati. Le sue dichiarazioni aiutarono gli inquirenti anche a individuare gli autori dell’omicidio dell’ex collaboratore di giustizia Orazio Porro, ucciso nel 2009.
L’infarto La causa del decesso, in carcere a Monza, un attacco cardiaco