Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Due sposi, una parola Ferragnez come Brexit
Non parlare del matrimonio Ferragni-Fedez. Non parlare del matrimonio tra FerragniFedez. Non parlare del matrimonio Ferragni-Fedez... Niente, ci ho provato anche con l’autoipnosi, ma proprio non ce la faccio. Il fuoco sacro dell’opinionismo della domenica si è impadronito delle mie dita e ora le guida sulla tastiera, costringendole a esprimere un mio qualsivoglia pensiero sulla cerimonia del secolo. Mi soffermerò sulla cosa più stimolante dell’intera faccenda: la simpatica idea di trasformare l’evento in una specie di prodotto, con tanto di logo creato su misura, come se non si fosse in presenza di un «rito che sancisce un rapporto di convivenza atto a garantire la sussistenza morale, sociale e giuridica della famiglia», ma di merce da vendere. Un momento, dalla regia mi fanno cenno che il matrimonio tra Chiara Ferragni e Fedez è a tutti gli effetti, prima di tutto, merce da vendere, e solo molti milioni di like più in basso un rito che sancisce bla bla bla… E dunque parliamo di questa idea di «Ferragnez», il geniale brand nato dalla fusione dei nomi dei due nubendi. Una trovata che, si dirà, ricorda un po’ Brexit (Britain + Exit) e un po’ CAF (Craxi + Andreotti + Forlani), ma che rappresenta un’innegabile innovazione nel campo del marketing matrimoniale. Siccome non ho altro da dire su questo matrimonio, spenderò le successive righe ad immaginare lo stesso giochino per celebri matrimoni del passato. Per esempio, chissà se a Franca Rame e Dario Fo sarebbe piaciuto Fame. Agli invitati al ricevimento senz’altro no. Mentre Vianello e Mondaini avrebbero trovato perfetto Mondanello (evento mondano ma con ironia). Grandi difficoltà avrebbero avuto Lennon e Yoko Ono: né Leno né Onon hanno il sufficiente grado di appeal. Peggio sarebbe andata per Ilary Blasi e Francesco Totti. Blatti, diciamocelo, non è proprio il massimo. Comunque, cari Ferragnez, tanti auguri. Anzi, Taùri.