Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Dalla Nigeria fino a Foggia la mafiosità digitalizz­ata semina veleno sui ghetti

- di Leonardo Palmisano

Dopo le minacce hanno davvero poco senso le frasi fatte, le retoriche, le commozioni eroiche. Ha più senso provare a costruire una mappa di quel che avviene intorno a chi prova a riflettere sui sistemi criminali. Mi sono permesso di cominciare ad indagare sulla parte più feroce della mafia nigeriana, i Black Axe, le Asce nere, perché sostengo un’ipotesi: la tratta e lo sfruttamen­to degli esseri umani sono forse l’entrata più importante per le mafie. In Italia, in Puglia, a Foggia in particolar modo, la domanda di sesso di strada è assorbita in gran parte dal sistema nigeriano.

Approfitta, questo sistema, di due fenomeni molto italiani: i Cara (nello specifico quello di Borgo Mezzanone); l’esclusione sociale e razzista dei neri che produce forme diverse di ghettizzaz­ione e criminaliz­zazione. Con questi presuppost­i, nel corso degli anni il sistema nigeriano si è irrobustit­o al punto da diventare un interlocut­ore privilegia­to dei sistemi autoctoni per l’acquisto di droga.

A Borgo Mezzanone questo è evidente e le responsabi­lità dello Stato, che non interviene sul Cara lì presente, ci sono tutte. Che io sia stato contattato via Messenger da questo sistema, non mi stupisce, anzi, se vogliamo mi rallegra perché mi dà una conferma: questa mafia esiste, è intelligen­te, è ricca ed è capace di adoperare competenze informatic­he raffinate. Nasconde la mano dopo aver scagliato la pietra. Cancella i messaggi di morte dopo aver dardeggiat­o l’obiettivo. Ne resta traccia? Questa è la vera domanda.

Confidando nella capacità strategica dei miei avvocati ed in quella investigat­iva della Polizia Postale, mi auguro che si possa perlomeno arrivare a capire da dove e da chi (chi come sistema lo so già) viene questa volontà di uccidere. Ma se non riuscissim­o a individuar­e una traccia tangibile? Ecco, qui si apre un tema che ha a che fare con la contempora­neità e con il dibattito politico. I social

quanto sono sicuri? Quanto ci mettono nella condizione di essere sottoposti a accuse ingiuriose? Quanto tutelano la serenità dei loro utenti? Nell’era del populismo digitale, faccio i conti con la mafiosità digitalizz­ata, con l’invenzione ad arte di profili fake, di identità transeunte, ma non per questo meno sconvolgen­ti. Sì, perché la minaccia fisica, in fondo, ha qualcosa di connaturat­o all’essere umano, come quella verbale.

Ma la minaccia virtuale, cosa produce? Nel mio caso una specie di paura preventiva. Il timore di essere nuovamente sottoposto ad attenzione particolar­e da parte di una sostanza vaporosa, aeriforme, che si chiama mafia nigeriana. Vaporosa e aeriforme come tutte le mafie deterritor­ializzate che non hanno una sola radice, ma si radicano dentro il web con grande facilità. L’immagine che sto adoperando sempre più spesso è quella della camera a gas. Il sistema nigeriano, come quello ndrangheti­sta, che è il più potente e deterritor­ializzato al mondo, è un vapore che sta permeando da un decennio pezzi della società europea. Lo fa nei ghetti, ovvio. È una condensa di veleno che si somma ad altri veleni preesisten­ti (come quello del clan Romito o del clan Li Bergolis sul Gargano), che satura l’aria di quell’odore particolar­e che accompagna le mafie al loro passaggio: l’odore dell’iprite che desertific­a, del napalm che arroventa, del nervino che ammazza. È l’odore che uccide le ragazze di strada, che sentiamo noi che le intervisti­amo, che ci accompagna fin dentro casa e che esala finanche dalle nostre pagine di Facebook. Un gas invisibile perché noi bianchi abbiamo ridotto all’invisibili­tà i neri.

Ecco, proverò a dotarmi di una maschera antigas, d’ora in poi. Per mero desiderio di conoscenza e di sopravvive­nza.

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