Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La via maestra di Leogrande Kater i Rades in scena a Tirana
Perché Tirana ricorda l’autore tarantino, viaggiatore curioso dalla parte degli ultimi
Mi sembra di vederlo Alessandro, le spalle leggermente curve, la sciarpa al collo, sorride vagamente imbarazzato e allo stesso tempo ammirato. Posso sentire la sua risata timida, fa un passo indietro, abbassa gli occhi, tutti sorridono insieme a lui.
Guarda una strada che porta il suo nome.
In Albania, a Tirana, da domani, una strada poco distante dalla piazza principale, piazza Scanderbeg, avrà il nome di Alessandro Leogrande. Mi pare di sentirlo mentre con l’ironia ficcante e puntuale di cui era capace, sorride del suo nome come quello di Mazzini su una targa e, allo stesso tempo, stigmatizza la realtà spiegando, senza alcuna presunzione, cosa succede in Italia, senza sbavature, senza paura di esporsi, dicendo, senza dubbio, da che parte stare.
Alessandro Leogrande sapeva e ripeteva a gran voce che bisogna stare dalla parte di chi non ha voce. E non si accontentava mai che le cose gli venissero riferite da altri, lui sapeva leggere le realtà delle minoranze del mondo perché in esse vi entrava senza paura di uscirvi fiaccato o più debole, piuttosto restituiva i suoi pensieri e le sue parole per dar corpo a quello che aveva visto e saputo dalla viva voce delle persone, viaggiando, scrivendo, vivendo instancabilmente.
Cosi nasce Il Naufragio. Morte nel Mediterraneo (Feltrinelli 2011), la storia della Kater i Rades, motovedetta albanese speronata da una corvetta della Marina militare italiana il 28 marzo 1997.
Questo, come gli altri scritti di Alessandro, sono frutto della sua capacità di farsi viaggiatore curioso e partecipe, attento e meticoloso. E la curiosità è quel motore febbrile che lo ha spinto a sfidare se stesso diventando librettista per la nostra opera Kater i Rades. Il Naufragio, commissionata, sostenuta e voluta fortemente da Ivan Fedele, il direttore della Biennale Musica di Venezia, che ha scelto il Teatro Koreja, il compositore Admir Shkturaj e Alessandro Leogrande accordandoci una fiducia cieca di chi sa di poter chiedere grandi sfide a chi ha il coraggio di accettarle. La sera dopo la prima a Venezia a cena Alessandro, io ed Admir, ci siamo trovati con Paolo Baratta, il presidente della Biennale di Venezia e lo stesso Ivan Fedele. Una situazione molto emozionante e nello stesso tempo imbarazzante, una di quelle in cui dire le cose giuste e ridere al momento giusto, eravamo in uno di questi ristoranti di notte a Venezia. Con Alessandro ne abbiamo riso molto, dopo, pensando a quanto fosse strano trovarci in un luogo quasi sacro ed essere, comunque, noi stessi.
E oggi, quattro anni dopo, quest’opera torna in Albania e Kosovo, viaggia con una carovana di venticinque persone: è il teatro che ritorna nei luoghi in cui la storia che racconta è nata, attraversando quel ponte ideale che unisce le due sponde del mare Adriatico, cercando di conservare lo sguardo lucido e critico di Alessandro. Il teatro che non si ferma mai e continua a macinare chilometri di storia e di strada, fa solo una breve sosta, silenziosa, composta per il nome nuovo di una strada di Tirana.
Sarebbe stupito, forse, Alessandro Leogrande nel vedere il suo maestro, Goffredo Fofi, un suo compagno, Nicola Lagioia, chi lo stimava, l’amico, il direttore del Polo Biblio Museuale della Regione Puglia, Luigi De Luca, l’assessore alla cultura e al turismo della Regione Puglia Loredana Capone, che lo aveva scelto come suo consulente, il sindaco di Tirana Erion Veliaj, la sua editrice albanese Arlinda Dudaj e tutti noi del Teatro Koreja guardare il suo nome su una targa e avere davanti agli occhi un uomo che in breve tempo ha saputo essere una guida sicura con una visione chiara, un maestro di ideali precisi, di vittorie piccole ma significative, di parole taglienti come lame che ogni giorno lasciano un segno e che indicano una via maestra.
E intanto ci ripetiamo che ce la dobbiamo fare, che Alessandro inizia un altro viaggio con noi e guardando quella targa, eccoci, oggi, ancora una volta, sorridiamo insieme a lui.