Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il Rigoletto delle invenzioni sceniche
Dopo la pausa estiva, la stagione lirica del Petruzzelli è ripresa nel segno di Verdi e di Arnaud Bernard: in scena il Rigoletto, opera tra le più amate con la sua torbida storia di violenza, seduzione e destino.
L’allestimento è firmato da un regista francese non più giovane (classe 1966) e ormai lanciatissimo, che il pubblico del Festival della Valle d’Itria ha visto più volte all’opera negli scorsi anni. L’accoppiata caratterizzerà anche l’inaugurazione della stagione 2019 del teatro lirico barese, a gennaio: in cartellone, finalmente, una produzione originale, quella del Simon Boccanegra verdiano, firmata dallo stesso Bernard. Il Rigoletto, invece, è una collaudata coproduzione (dell’Arena di Verona e di vari teatri francesi) che ha già girato mezza Europa: raffinata, rispettosissima dei valori musicali dell’opera e della sua ambientazione ma ricca di invenzioni sceniche che ne arricchiscono la lettura. A cominciare da quello che si vede a sipario appena aperto: siamo nella Mantova del Cinquecento, e Bernard ci invita a palazzo ad assistere ad una seduta di anatomia nell’anfiteatro privato del Duca. Una sala così, coi gradoni in legno, esisteva davvero nella Mantova dell’epoca, nel palazzo di Ferrante
I Gonzaga destinato a far posto nel Settecento al teatro scientifico Bibiena. Insomma, il Duca dell’opera verdiana viene rappresentato come un uomo colto, bello e seducente, ma assolutamente privo di pìetas nei confronti dell’umanità che lo circonda: infatti è un libertino senza scrupoli che desidera tutte le donne e un cinico e violento uomo di potere, come mostra già la scena seguente della festa. Insomma, una personalità complessa e sfaccettata, proprio come l’intendeva Verdi che non amava i personaggi a una sola dimensione.
Altra invenzione scenografica: la casa di Rigoletto, dove il buffone di corte tiene nascosta la sua bella e giovane figlia Gilda dalle insidie del mondo (e del duca), ha la forma della “rotonda” al centro della famosa tavola La città ideale, dipinta a fine Quattrocento da un autore rimato sconosciuto e diventata un simbolo del Rinascimento italiano. Nel palazzo del duca quella stessa costruzione è riprodotta in scala ridotta e circondata dai modellini degli altri palazzi che le fanno corona nella “Città ideale”, a suggerire come l’ordine apparente delle cose non corrisponda a quanto accade all’interno di quei palazzi. La cultura non basta a rendere “esemplari” gli umani, tutt’altro; e infatti nel finale dell’opera, quando la tempesta infuria nella notte in cui Gilda perderà la vita, sacrificandosi per sua scelta, una pioggia di fogli bianchi cadrà sulla barcalocanda di Sparafucile.
Fin qui la lettura di Bernard. Il direttore Giampaolo Bisanti ha puntato sulle tinte scure, sfumando i tratti più squillanti della partitura, aggiungendo ombre a ombre. Rigoletto, che nel 1851 diede avvio alla stagione dei maggiori trionfi teatrali di Verdi, è opera basata su arie famose (alcune di proverbiale misoginia come Questa o quella o La donna è mobile) ma anche di tessitura raffinata. I cantanti in scena al Petruzzelli, a cominciare dall’ottimo baritono Marco Vratogna che disegna un Rigoletto credibile e tormentato, tengono fede a questa impostazione di fondo. Nel cast della prima, il tenore Ivan Magrì esibisce una voce limpida e potente, e la giovane tarantina Giuliana Gianfaldoni, debuttante a sorpresa nei difficili panni di Gilda, se la cava più che bene. Applausi e repliche a cast alternati, ogni sera (tranne lunedì) fino al 16 settembre.