Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
LA POLITICA CHE AIZZA I VIOLENTI
Quello che non doveva succedere è successo. Torna la violenza politica nelle strade di Bari. E torna – pare un paradosso ma forse non lo è – ai tempi della politica debole e delle passioni fragili verso la dimensione del vivere collettivo (chi si interessa più dei destini del mondo?). Si manifesta la violenza ed è diversa da quella che ha bruciato la vita dei giovani degli anni Settanta e l’ha infilata, come cantava De Gregori, «dentro una fornace». Quello era il tempo delle chiavi inglesi, dei servizi d’ordine, delle città divise a scacchi, dove puoi andare e dove no. Perfino delle pistole in tasca, delle cazzottiere, dei bastoni e delle catene. Neofascisti contro comunisti. Era il tempo in cui ogni città ha avuto i suoi morti e Bari ha pianto il giovane comunista Benedetto Petrone, ucciso a coltellate in piazza della Libertà. Allora bruciava la passione, imbevuta di ideologia ubriaca e di utopismo malsano per un mondo che si desiderava diverso. Ora divampa la rabbia della privazione che non riesce a scrutare l’orizzonte. Non giustificabile la prima, non giustificabile la seconda. Gli appelli alla moderazione del linguaggio – lanciati da più parti – sono pienamente giustificati. Ne devono essere consapevoli tutti per evitare di fornire involontaria legittimazione, per esempio sul tema delle politiche migratorie, a chi decidesse di usare la violenza per imporre il proprio punto di vista.
Come è stato osservato, adoperare la parola «pacchia» per definire l’allucinante viaggio di disperazione di chi vuole arrivare sulle coste dell’Europa è la rottura di un tabù. Per lo meno lessicale. Le parole sono materiale altamente infiammabile e vanno tenute sotto controllo.
Ogni opinione, anche quella per imporre più severe politiche di contenimento migratorio, può e deve essere espressa con un linguaggio misurato. Allo stesso modo, va respinta la tentazione di chi predica inammissibili controffensive (purtroppo ve n’è traccia sui social) contro l’aggressione messa in atto dai militanti di CasaPound.
Questi ultimi (gli investigatori lo stanno appurando) sembra siano stati insultati con epiteti ingiuriosi prima del violento attacco con bastoni e catene sferrato verso i partecipanti alla manifestazione antirazzista. La provocazione non attenua le loro responsabilità. Ben lo comprendono anche i deputati della Lega – Sasso e Tateo – che ieri hanno condannato le violenze. Anche se, hanno aggiunto i due parlamentari, pure i manifestanti del corteo antirazzista hanno inveito e usato un linguaggio violento contro Salvini. Questo è vero ma non si vede la relazione, a meno di voler immaginare una connessione tra Casa Pound e Lega, che non c’è e non ci può essere.
Ancora una riflessione, riguarda la tenuta dell’ordine pubblico. La Questura ha saggiamente evitato che venerdì sera il corteo antirazzista sfilasse davanti a CasaPound. Resta l’interrogativo del perché la medesima sede di CasaPound, assai vicina al luogo della manifestazione, non sia stata presidiata dalle forze dell’ordine fino al completo deflusso dei partecipanti alla manifestazione, allo scopo di evitare tanto le provocazioni quanto le reazioni: come si fa alle partite di calcio.
Siamo lontani dalla violenza degli anni Settanta, per fortuna. Ma è indispensabile lo sforzo di tutti (istituzioni, politica e singoli) per tenere vivo e libero il confronto delle idee. Prima che sia tardi.