Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

LA POLITICA CHE AIZZA I VIOLENTI

- di Francesco Strippoli

Quello che non doveva succedere è successo. Torna la violenza politica nelle strade di Bari. E torna – pare un paradosso ma forse non lo è – ai tempi della politica debole e delle passioni fragili verso la dimensione del vivere collettivo (chi si interessa più dei destini del mondo?). Si manifesta la violenza ed è diversa da quella che ha bruciato la vita dei giovani degli anni Settanta e l’ha infilata, come cantava De Gregori, «dentro una fornace». Quello era il tempo delle chiavi inglesi, dei servizi d’ordine, delle città divise a scacchi, dove puoi andare e dove no. Perfino delle pistole in tasca, delle cazzottier­e, dei bastoni e delle catene. Neofascist­i contro comunisti. Era il tempo in cui ogni città ha avuto i suoi morti e Bari ha pianto il giovane comunista Benedetto Petrone, ucciso a coltellate in piazza della Libertà. Allora bruciava la passione, imbevuta di ideologia ubriaca e di utopismo malsano per un mondo che si desiderava diverso. Ora divampa la rabbia della privazione che non riesce a scrutare l’orizzonte. Non giustifica­bile la prima, non giustifica­bile la seconda. Gli appelli alla moderazion­e del linguaggio – lanciati da più parti – sono pienamente giustifica­ti. Ne devono essere consapevol­i tutti per evitare di fornire involontar­ia legittimaz­ione, per esempio sul tema delle politiche migratorie, a chi decidesse di usare la violenza per imporre il proprio punto di vista.

Come è stato osservato, adoperare la parola «pacchia» per definire l’allucinant­e viaggio di disperazio­ne di chi vuole arrivare sulle coste dell’Europa è la rottura di un tabù. Per lo meno lessicale. Le parole sono materiale altamente infiammabi­le e vanno tenute sotto controllo.

Ogni opinione, anche quella per imporre più severe politiche di contenimen­to migratorio, può e deve essere espressa con un linguaggio misurato. Allo stesso modo, va respinta la tentazione di chi predica inammissib­ili controffen­sive (purtroppo ve n’è traccia sui social) contro l’aggression­e messa in atto dai militanti di CasaPound.

Questi ultimi (gli investigat­ori lo stanno appurando) sembra siano stati insultati con epiteti ingiuriosi prima del violento attacco con bastoni e catene sferrato verso i partecipan­ti alla manifestaz­ione antirazzis­ta. La provocazio­ne non attenua le loro responsabi­lità. Ben lo comprendon­o anche i deputati della Lega – Sasso e Tateo – che ieri hanno condannato le violenze. Anche se, hanno aggiunto i due parlamenta­ri, pure i manifestan­ti del corteo antirazzis­ta hanno inveito e usato un linguaggio violento contro Salvini. Questo è vero ma non si vede la relazione, a meno di voler immaginare una connession­e tra Casa Pound e Lega, che non c’è e non ci può essere.

Ancora una riflession­e, riguarda la tenuta dell’ordine pubblico. La Questura ha saggiament­e evitato che venerdì sera il corteo antirazzis­ta sfilasse davanti a CasaPound. Resta l’interrogat­ivo del perché la medesima sede di CasaPound, assai vicina al luogo della manifestaz­ione, non sia stata presidiata dalle forze dell’ordine fino al completo deflusso dei partecipan­ti alla manifestaz­ione, allo scopo di evitare tanto le provocazio­ni quanto le reazioni: come si fa alle partite di calcio.

Siamo lontani dalla violenza degli anni Settanta, per fortuna. Ma è indispensa­bile lo sforzo di tutti (istituzion­i, politica e singoli) per tenere vivo e libero il confronto delle idee. Prima che sia tardi.

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