Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Partono gli sgomberi al Libertà
Tuguri in nero, Decaro firma le prime due ordinanze: «Basta con chi sfrutta i deboli»
Dalle parole ai fatti. Per stroncare il business mafioso dei tuguri affittati in nero agli extracomunitari al quartiere Libertà, il sindaco Decaro ha firmato ieri le due prime ordinanze di sgombero. «È venuto il momento ha detto il primo cittadino - di dire basta con lo sfruttamento dei più deboli». L’emergenza registrata al quartiere Libertà, in realtà, è una storia che affonda le radici nel passato della città. A quando, da Bari vecchia all’estrema periferia di San Pio, i palazzi abbandonati venivano utilizzati dai clan che li trasformavano in autentici bunker. L’ultimo dossier sul caso è stato realizzato dalla Squadra mobile ad Enziteto.
Lo sfruttamento di intere palazzine sgangherate rimaste ad annunciare un passato antico e decenni di degrado non è soltanto una voce di tutto rilievo nel libro contabile di insospettabili colletti bianchi; al contrario, proprio i tuguri per lungo tempo tollerati o ignorati (ma in fondo è la stessa cosa) costituiscono anche per la criminalità organizzata pedine importanti da giocare sulla scacchiera del controllo del territorio e degli affari. Questo è quanto dimostrano lunghi capitoli nella storia investigativa della città.
Depositi di armi dove custodire pistole, mitragliette e munizioni; rifugi per i latitanti; luoghi inaccessibili per nascondere ingenti quantità di droga; persino “sportelli” per lo spaccio che assicura liquidità finanziaria: così nel corso del tempo sono stati utilizzati gli immobili abbandonati, scheletri di cemento abbandonati a un degrado apparso quasi irreversibile.
La maggior parte di quei palazzi in passato era concentrata a Bari vecchia: grappoli di case all’ombra di monumenti e testimonianze di un passato luminoso e oscurato dall’incuria moderna; vecchi depositi abbandonati, luoghi progressivamente occupati dalle cosche alla ricerca di zone sicure dove piazzare arsenali e gestire le partite di stupefacenti; nicchie scavate in muri celati tra i vicoli di un quartiere a lungo attraversato da forti tensioni all’interno di traballanti assetti criminali.
Per arginare quella situazione, negli anni novanta la polizia avviò una massiccia operazione di controllo: gli agenti varcarono la soglia di numerose palazzine abbandonate e poi finite nell’orbita dei clan, gli investigatori portarono alla luce arsenali mobili ricavati a poca distanza dai luoghi scelti per gli agguati: pistole, mitragliette, munizioni, esplosivo.
Del resto la conquista di fette importanti di un territorio in cui è presente l’inquinamento mafioso è una strategia costante perseguita con estrema attenzione dai boss che reggono le sorti delle organizzazioni criminali. Ecco perché, sempre negli anni novanta, un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia consentì di scoprire persino arsenali sottomarini: armi celate sott’acqua e adagiate sui fondali a ridosso del molo San Nicola, non a caso vicino al centro storico. I clan controllavano tutto, anche la disposizione delle barche. E un particolare tipo di ormeggio era un segnale ben preciso.
Le indagini tra le palazzine abbandonate di Bari vecchia furono condotte anche grazie al supporto dei vigili del fuoco. E si arrivò a un censimento degli immobili, spesso lasciati in condizioni di degrado perché nessuno doveva mettere piede in quei luoghi funzionali alle strategie della criminalità. Ma il progressivo restyling urbanistico e un’intensa attività investigativa che ha consentito di infliggere duri colpi alle cosche hanno determinato un cambiamento importante nel quartiere e nell’intera città. A dimostrazione che nell’ambito di una logica mirata al risanamento sociale gli interventi di carattere urbanistico vanno coniugati con quelli più strettamente repressivi. Tuttavia, lo sfruttamento dei luoghi e di tutto ciò che li caratterizza rimane una priorità per la criminalità organizzata. E se in determinate zone come il quartiere Japigia la strategia dei clan è quella delle “piazze di spaccio” per trasformare in bazar dell’eroina i vialoni che attraversano il rione e blindarli con sentinelle appostate nei punti strategici, in altre aree vengono utilizzati i passaggi ricavati in tuguri abbandonati tra vicoli antichi per smerciare la droga con la tecnica del “bancomat”: soldi e dosi fatti passare attraverso fessure che evitano agli spacciatori il rischio di essere riconosciuti.
L’ultima attività investigativa sull’occupazione del territorio e sullo sfruttamento delle situazioni di incuria urbanistica riguarda il quartiere San Pio, terra di conquista per le cosche che hanno occupato gli spazi con muretti, inferriate e colate di cemento. Un dossier sul rione trasformato in un bunker è stato consegnato al Comune due anni fa.
Nel 2016 La relazione della squadra mobile sul quartiere Enziteto è stata consegnata al Comune nel 2016