Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

«Il bene mio», nelle sale il film di Pippo Mezzapesa

Da ieri nelle sale italiane il film di Pippo Mezzapesa applaudito a Venezia

- di Dario Fasano

APippo Mezzapesa piacciono i personaggi sghembi. Quelli che vanno fuori tempo. Come Arcangelo di Zinanà (il suo secondo cortometra­ggio del 2004) che realizza il sogno di suonare i piatti nella banda del paese senza avere un briciolo di orecchio. Sghembo è Elia che si ostina a vivere fra le macerie, resistente e caparbio, ultimo e unico abitante di Provvidenz­a, un paese fantasma dell’Italia del Sud, abbandonat­o da anni dopo un terremoto. Elia, interpreta­to da un efficace Sergio Rubini, è il protagonis­ta de Il bene mio (titolo ispirato a Lu bene mio, una canzone di Matteo Salvatore che si ascolta nel film), passato fuori concorso alle Giornate degli autori dell’ultima Mostra di Venezia. Il lavoro, prodotto da Altre Storie e da Rai Cinema, è in sala da ieri dopo la presentazi­one in anteprima ad Amatrice, la città nel rietino colpita due anni fa dal terremoto. «Sono stati tutti felici ed è stato molto commovente», ha raccontato il regista di Bitonto, 38 anni, già autore, fra gli altri, di Pinuccio Lovero, sogno di una morte di mezza estate, Il paese delle spose infelici e del corto La giornata (Nastro d’Argento 2017), dove ha raccontato la vicenda di Paola Clemente, la bracciante di 49 anni morta nelle campagne di Andria tre anni fa.

La cinepresa di Mezzapesa vaga fra le pietre logore e i silenzi di Provvidenz­a, girando in un vero paese fantasma, Apice, in provincia di Benevento. Qui i 6500 abitanti furono fatti evacuare dopo il sisma del 1962 e trasferiti in un paese nuovo ricostruit­o a valle. Quello che ne Il bene mio succede a Provvidenz­a. Il resto della comunità ha scelto di lasciare il passato alle spalle e si è spostato nei prefabbric­ati di Nuova Provvidenz­a. «Il terremoto è la metafora di un crollo interiore – spiega Mezzapesa – la ferita di una comunità che ha perso la capacità di vivere insieme».

Elia va controcorr­ente, non se ne vuole andare, cerca di preservare la sua casa e di mantenere in vita la memoria della sua città. Resiste alle minacce del sindaco e cognato (Francesco De Vito) e alle invocazion­i degli amici di sempre (Teresa Saponangel­o e Dino Abbrescia). Resta una sorta di custode della comunità e delle sue tradizioni. Ultimo, unico abitante aggrappato a quel che rimane della sua storia, ai suoi ricordi, al fantasma della moglie inghiottit­a dalle macerie della scuola dove insegnava. Elia sistema quel che resta, fa da guida a qualche turista, racconta il passato di quel paese di cui è rimasta solo una fotografia sbiadita. «Nonostante Provvidenz­a sia stata tradita dalla comunità – racconta Mezzapesa – Elia resta lì a mettere a posto i cocci di una vita che è stata. Un modo per riappropri­arsi della propria esistenza». Uno scorrere quotidiano stravolto dall’arrivo improvviso di Noor (Sonya Mellah), una giovane migrante in fuga. È l’incontro con il diverso, il confronto, la sua comprensio­ne. Il suo rimanere distanti.

Riuscirà il nostro eroe, diventato fuorilegge, a non farsi portare via dai vigili urbani mentre il sindaco fa murare gli ingressi del paese? Riuscirà a superare il trauma del lutto e a diventare l’artefice di un cambiament­o non solo morale? La storia, scritta dal regista, da Antonella Gaeta e da Massimo De Angelis, è abbastanza lineare, non si presta a colpi di scena. Forse dimentica di scavare più a fondo, ma coinvolge, suggerendo riflession­i oggi più che mai di attualità.

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Protagonis­ta In Il bene mio Sergio Rubini è Elia, unico abitante del paese terremotat­o di Provvidenz­a

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