Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Amburgo 1943, il romanzo di Lupo
Un esordio di peso. E un premio importante a un altro pugliese, Funetta
Tra narrazione e non-fiction, romanzo e ricostruzione storica, fa parlare l’esordio di Marco Lupo, tarantino a tutti gli effetti anche se nato a Heidelberg e ora residente a Torino. In Hamburg Lupo ricostruisce la tremenda estate del ’43 ad Amburgo, rasa al suolo dalle bombe alleate. E intanto un altro pugliese, Luciano Funetta, vince il premio «The Bridge» con il suo romanzo distopico Il grido.
Il sottotitolo del romanzo d’esordio di Marco Lupo, Hamburg (Il Saggiatore, Milano 2018, pp. 248, euro 21), rivela l’ossessione, il principio generatore del libro: «la sabbia del tempo scomparso», infatti, allude al rovello della memoria. Una memoria che si sforza di ricordare il passato, tra le ombre della censura, le macchie dell’oblio e i fantasmi dell’immaginazione. Una memoria iperletteraria, tesa a rubricare i fatti attraverso il filtro di autori, scritti, titoli, in una ramificazione di storie incorniciate da un meccanismo narrativo a scatole cinesi, che s’inceppa sulla pagina perduta, o sulla demenza, come un devastato Decameron contemporaneo.
C’è tanta letteratura, tanta passione per la civiltà del libro, in questo romanzo scritto da un libraio. C’è anche la consapevolezza che la traccia scritta fissi le memorie, il passato ricordato o il presente che si fa passato, in una verità dislocata, in una vita distante, irriducibile al qui e ora: «Se la scrittura non è altro che una forma di nostalgia, allora ogni scrittore versa la sua manciata di polvere nella clessidra che tiene il tempo». La storia, il cui ricordo si intende qui far riaffiorare, è quella di Amburgo, della terribile tempesta di fuoco che a fine luglio 1943 rase al suolo, polverizzò, spazzò via gran parscrittori te della città e decine di migliaia di suoi abitanti. Operazione Gomorrah: una catastrofe di proporzioni bibliche, voluta dalle forze alleate e messa in atto dall’aviazione britannica, col supporto statunitense, per punire e piegare il Terzo Reich.
Per sensi di colpa collettivi o per la possanza del trauma, questa pagina infernale del secondo conflitto mondiale ha stentato a manifestarsi negli scritti dei narratori tedeschi, vittime, testimoni, eredi. Certo, c’è stata la cosiddetta «letteratura delle macerie», ci sono stati Heinrich Böll e pochi misconosciuti, c’è Marcel Beyer, a toccare il nervo scoperto della questione. Ma soprattutto c’è stato W.G. Sebald, che in Storia naturale delle distruzione ha denunciato in modo reciso l’amnesia dei letterati. Sebald è la stella polare, con riconoscimento esplicito, dell’Hamburg di Marco Lupo. Lo è per la tematica e il contesto, lo è per una scelta formale che confonde fiction e reportage, lo è per l’uso non didascalico di fotografie nel testo, lo è per l’idea che la storia debba emergere dal silenzio delle voci scomparse, che la scrittura debba registrare, fuori dai canoni e dalle finzioni di genere, una verità rimossa, differita, autocensurata.
La storia raccontata da Marco Lupo, con perizia di strumenti narrativi, è appunto la storia di un recupero memoriale, di una riemersione del e dal trauma. C’è un libraio, all’inizio e alla fine del libro, e c’è un gruppo di lettori di oggi, uomini e donne, che si incontrano ogni lunedì per condividere letture. In mezzo, ci sono i libri e i frammenti di testi e dei memoriali ritrovati. I romanzi di un certo M.D. Le memorie di una donna e del suo bambino nato in guerra e sopravvissuti in un «buco», in un rifugio sotterraneo, alla tempesta di fuoco di Amburgo. Ci sono le storie degli emigranti italiani e turchi e della ricostruzione delle città tedesche distrutte. Storie, una dentro l’altra, che rimandano una all’altra, e che fanno risuonare il rimosso della Storia, deportazioni, violenze, umiliazioni, fame, danno psichiatrico.
È una lettura insieme cerebrale e appassionante, una prova matura, che fa di questo libro una delle novità letterarie italiane più convincenti degli ultimi tempi.