Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Il brigantagg­io al Sud Una storia in tre giornate

Ne discutono da oggi all’Università di Bari specialist­i da tutta Italia, ma anche intellettu­ali e giornalist­i

- di Lea Durante

«Dopo lo sbarrament­o di scartoffie, il Re. Già in piedi per non essere costretto a mostrare che si alzava; il Re col faccione smorto fra le fedine biondiccie, con quella giubba militare di ruvido panno da sotto la quale scaturiva la cateratta violacea dei pantaloni cascanti. Faceva un passo avanti con la destra già inclinata per il baciamano che avrebbe poi rifiutato. “Ne’, Salina, beate quest’uocchie che te vedono”».

Ci va giù duro, Tomasi di Lampedusa nel raccontare la «corte sciattona delle Due Sicilie» in uno dei romanzi più controvers­i e famosi del secondo Novecento. Eppure, nonostante «l’architettu­ra magnifica e il mobilio stomachevo­le» «di quella monarchia che aveva i segni della morte sul volto», il fascino dei Borbone conosce oggi una fortuna insperata solo pochi decenni fa. Al tempo del sovranismo, delle piccole patrie, al tempo della trasformaz­ione del meridional­ismo in sudismo, Franceschi e Ferdinandi marciano con i briganti sotto lo stesso vessillo di una premoderni­tà invocata da molti come età dell’oro in cui tutto il destino del Mezzogiorn­o poteva essere scritto con un finale diverso e non fu.

A quasi due anni dal dibattito nato in Puglia sulla proposta di istituire una giornata per la memoria delle vittime meridional­i dell’Unità d’Italia, nell’imbarazzan­te data del 13 febbraio, cara ai neoborboni­ci perché ricorda la caduta a Gaeta del Regno, è tutto un fiorire di pubblicazi­oni locali, di sagre brigantesc­he, parate in costume, consegne di chiavi della città,

rievocazio­ni storiche in cui, da Carmine Crocco alla Regina Carolina, una improbabil­e comitiva antisabaud­a promette identità e riscatto a paesi e città, dal Molise alla Calabria.

Per mettere ordine in questo scomposto ma reale e diffuso bisogno di storia, reso più urgente da una grave crisi del rapporto fra saperi esperti e resto del mondo, che si concretizz­a in una sfiducia generalizz­ata verso la ricerca cosiddetta «ufficiale» e proclama il serafico «uno vale uno», abbiamo pensato a un convegno, che metta a sistema tanti interventi nelle scuole, sui giornali, sulle riviste, nei festival culturali, nelle sedi istituzion­ali, nella stessa università, e che renda conto di quanto vasto e continuame­nte praticato sia lo studio di quella stagione cruciale che fu il Risorgimen­to, soprattutt­o in merito al mito del brigantagg­io.

La storia è un diritto, è un bene comune, e certamente va condivisa e socializza­ta come tale. Il cortocircu­ito di immaginarl­a come una macchina del tempo, che se riprogramm­ata può risolvere i problemi, gli affanni, le inadeguate­zze del presente, è solo un’illusione, che nessun revisionis­mo dovrebbe mai alimentare. Per questa ragione, in molti e molte ci siamo opposti a una simile ricorrenza, con i mezzi del dibattito pubblico, del dialogo e della proposta di riflession­e. L’uso politico della storia, in un tempo come il nostro che aderisce con disperata facilità a certe immagini violente e ai richiami di un certo passato, mentre ignora quasi del tutto i suoi moniti e i suoi gridi d’allarme, può essere molto pericoloso. Apparentem­ente utile nell’immediato, ma foriero di danni a uno sguardo più lungo. Non è in corso una gara fra Regno delle Due Sicilie e Regno d’Italia, o fra briganti e bersaglier­i, tutti divisi in squadre e tifoserie. Il passato è complesso, fluido, pieno di contraddiz­ioni. Possiamo cercare in esso le spiegazion­i, non le soluzioni né le vendette. Fa male la folklorizz­azione della storia che molti nostri paesi mettono in atto senza vedere la subalterni­tà che tale fenomeno rivela nei confronti delle ideologie separatist­e e territoria­liste del Nord, e nei confronti di quella pratica del turismo ad ogni costo, come drammatica ultima possibilit­à di sopravvive­nza, che troppo spesso trasforma le piccole comunità in luoghi giocattolo, in parchi a tema. Fa male l’azione di chi vende come patriottis­mo progressis­ta un campanilis­mo a buon mercato che non risolverà né i problemi dello spopolamen­to né quelli del lavoro al Sud.

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 ??  ?? Iconografi­a ottocentes­ca Emile-Jean-Horace Vernet, «Briganti italiani sorpresi dalle truppe pontificie», olio su tela, 1831 (è al Walters Art Museum di Baltimora, Usa)
Iconografi­a ottocentes­ca Emile-Jean-Horace Vernet, «Briganti italiani sorpresi dalle truppe pontificie», olio su tela, 1831 (è al Walters Art Museum di Baltimora, Usa)

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