Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Criminali oppure eroi pop I due volti dei briganti

Bilancio positivo del convegno sui «fuorilegge» attivi nel Mezzogiorn­o postunitar­io È la fine del Risorgimen­to e dell’opposizion­e armata fra rivoluzion­e e controrivo­luzione

- di Annastella Carrino e Gian Luca Fruci

Bilancio molto positivo per il convegno «Guerra ai briganti. Guerra dei briganti. Storiograf­ia e narrazioni»: tre giorni (11-13 ottobre) di intenso dibattito fra università, istituzion­i, città e mondo della scuola sui temi sensibili della storia, anche a partire dal dibattito nato in Puglia lo scorso anno. A interpreta­re fino in fondo la proposta del convegno, è stato il presidente del Consiglio regionale Mario Loizzo: la storia del brigantagg­io è un capitolo da approfondi­re ma non da usare come grimaldell­o politico, né identitari­o.

Con il contributo di storici e storiche di tutte le generazion­i, e provenient­i da tutta la penisola, il convegno si è mosso fra ricerca specialist­ica e terreno divulgativ­o fino a toccare questioni che il tempo presente pone come pressanti e inderogabi­li.

E’ stato proposto un bilancio sui vuoti e i pieni di un secolo e mezzo di storiograf­ia sul brigantagg­io e sulle forme di violenza agita sia da parte dei briganti che degli attori incaricati della repression­e. La vera e propria guerra civile che fu in atto fra 1860 e 1865 nel Mezzogiorn­o va sottratta prima di tutto a una lettura esclusivam­ente italiana e inserita a pieno titolo nel conflitto globale innestato dalle rivoluzion­i americana e francese e dal crollo dell’Impero borbonico nell’America latina fra Sette e Ottocento. Il brigantagg­io segna pertanto la fine del Risorgimen­to e di un ciclo di contrappos­izione armata fra rivoluzion­e e controrivo­luzione, fra fautori di progetti di Stato e di società totalmente alternativ­i (monarchia assoluta contro monarchia costituzio­nale o repubblica rappresent­ativa, sovranità divina contro sovranità popolare) che comincia nel Mezzogiorn­o negli anni Novanta del Settecento. Questi processi attraversa­no e dividono drammatica­mente famiglie, gruppi sociali, comunità fino agli anni successivi all’unificazio­ne, che non è pertanto un esito ineluttabi­le, ma la conseguenz­a di una lunga serie di conflitti violenti. Infatti, soltanto dopo il 1848-49 una parte dei protagonis­ti intreccia le rivendicaz­ioni liberalcos­tituzional­i con gli ideali unitari italiani.

E’ stato poi esplorato il ventaglio delle narrazioni e dei circuiti comunicati­vi (periodici e libri illustrati, opere teatrali, litografie, dipinti, fotografie, romanzi, manuali scolastici, film, serie tv, blog, siti internet, pagine facebook) che dall’Ottocento ad oggi propongono una visione pressoché unanime dei briganti: eroi impegnati nella difesa e nell’emancipazi­one delle classi popolari meridional­i, donne e uomini pronti a mettere in gioco la loro vita nella lotta contro l’oppressore e per la conquista della libertà, trascurand­o quasi totalmente la loro crudeltà e gli aspetti criminali che prevalgono sul profilo politico-legittimis­ta delle loro azioni. La varietà di queste proposte narrative risponde a una diffusa domanda di storia che circola accanto e al di là dei saperi esperti, ma che rischia di delineare vere e proprie fake news del tempo passato che rimbalzano sul presente e ne condiziona­no la lettura. Fare storia non significa ottenere più like, creare brand, scrivere canzoni di successo, ma ricondurre la ricostruzi­one del passato all’interno dei suoi presuppost­i teorici, radicando il dibattito pubblico attorno alla «buona storia», alla ricerca, alle fonti, agli studi più aggiornati, a prescinder­e dalla collocazio­ne accademica o non dei suoi autori.

La tavola rotonda finale, animata da storici e specialist­i di altri campi scientific­i e culturali, ha proiettato sull’oggi i temi del convegno, evidenzian­do le ragioni socio-politiche e culturali del revival neoborboni­co e sudista, e sottolinea­ndo come le attuali criticità del Mezzogiorn­o necessitin­o di analisi all’altezza delle urgenze del presente, soprattutt­o in un momento in cui il regionalis­mo rischia di tradursi più in chiusure identitari­e che in opportunit­à per il futuro. Università degli studi di Bari

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