Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Una partitura sonora sontuosa per voci, rumori ed elettronica
Cuore di cane è uno spettacolo di rara precisione. Non una cosa è fuori posto, tutto è frutto di un’economia di gesti che produce un grande effetto scenico. Licia Lanera moltiplica voci, personaggi, punti di vista nella narrazione di una storia livida e grottesca («un incubo, un incubo», come ripete spesso una delle sue creature nel corso dello spettacolo), le luci di Vincent Longuemare disegnano spazi, li dissolvono, li ricreano. Uno spettacolo nello spettacolo, a partire dalla memorabile nevicata iniziale. E poi c’è la musica di Tommaso Qzerty Danisi, altro ingrediente fondamentale di una messa in scena che a tratti ha il respiro di una piccola opera da camera.
Danisi è un dj, ma è anche un rumorista, quell’antica figura del teatro di una volta che organizzava fuori scena la produzione di effetti sonori utili al racconto; ed è un compositore, perché costruisce sulla scena, sempre sotto gli occhi del pubblico, una drammaturgia musicale di splendida efficacia con la quale la stessa Lanera, memore della
sua esperienza di rockstar in Black’s Tales Tour, interagisce con la voce, le mani, il microfono.
Punto di partenza può essere un impulso ritmico elettronico costruito mixando diverse fonti sonore o usando una tastiera di servizio, ripetuto in loop con piccole variazioni o ridotto a cellula melodica minima, a cui si sovrappone un rumore creato sul momento con l’ausilio di un martello, di un archetto di violino utilizzato sul microfono, di un piccolo trovarobato dal fascino molto dantan. Il risultato è invece modernissimo e potente, e accompagna il flusso vocale di Licia Lanera arricchendolo di ombre, sfumature, ritmo.
Anche la discreta e quasi immobile presenza scenica di Danisi fa da contraltare alle esplosioni d’energia e di disperata vitalità della mattatrice, come ai suoi momenti di abbandono smarrito. Quasi logico, allora, che la conclusione li veda finalmente svegliarsi dall’incubo per ritrovarsi in un valzer incongruo e beffardo: Ottocento di De Andrè, unico brano registrato utilizzato nel corso di tutto lo spettacolo.