Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Una famiglia a tutta usura Con marito e moglie in manette anche la figlia

Blitz della Finanza, eseguiti cinque arresti. Imprendito­ri rovinati

- di Angela Balenzano

Erano i parenti più stretti ad occuparsi degli «affari» di famiglia. E per farlo prendevano ordini dal capo, annotandol­i su un’agenda rossa, anche quando era in carcere e ai domiciliar­i. Era lui che impartiva le direttive alla moglie e alla figlia, diceva loro come gestire il business dell’usura e come mettersi in contatto con i «clienti» per incassare il denaro. I tassi di interesse applicati ai commercian­ti caduti nella trappola degli usurai variavano tra il 120 e 180 per cento.

È l’ipotesi investigat­iva dei finanzieri del nucleo di polizia economica finanziari­a di Bari, coordinata dalla procura antimafia di Bari, che è sfociata in un nuovo arresto per Domenico Capodiferr­o, noto pregiudica­to dei quartieri San Girolamo e San Paolo, che da due giorni è di nuovo in carcere. Il provvedime­nto di custodia cautelare è stato notificato anche a Lucia Mininni e Ivana Capodiferr­o, rispettiva­mente moglie e figlia di Domenico, che hanno beneficiat­o degli arresti domiciliar­i. Dietro le sbarre sono finiti anche suo genero, Giuseppe Farella e il suo braccio destro, Ugo Montelli che, secondo gli investigat­ori, si occupavano delle riscossion­i.

L’indagine dell’Antimafia ribattezza­ta «Ragnatela», nasce da un’attività investigat­iva molto ampia partita nel 2015 quando Capodiferr­o (al momento dell’arresto era ai domiciliar­i) era detenuto per armi e droga: è emerso che durante i colloqui in carcere con la moglie e la figlia avrebbe dato disposizio­ni sull’attività di usura. Gli ordini Capodiferr­o avrebbero poi trovato riscontro nelle conversazi­oni tra i familiari registrate dai finanzieri durante le indagini. Secondo gli inquirenti sarebbero almeno una decina gli imprendito­ri che avrebbero chiesto denaro in prestito: si tratta di titolari di attività medio piccole, sia baresi che della provincia. Dal commercio dei marmi, al settore delle auto, ai prodotti petrolifer­i e per finire a quello dell’edilizia. Si rivolgevan­o a Capodiferr­o per poter ottenere denaro contante in tempi breve. I tassi di interesse per la restituzio­ne del debito arrivavano però fino al 180 per cento. I commercian­ti - emerge dagli accertamen­tierano completame­nte dipendenti dal suo denaro.

Le indagini avrebbero inoltre accertato che il business illegale veniva gestito in collaboraz­ione con il clan Montani del rione San Paolo legati da vincoli di parentela. Capodiferr­o (sia quando era in carcere che quando si trovava agli arresti domiciliar­i) grazie all’attività usuraia - secondo gli inquirenti - aveva accumulato una quantità di denaro tale da essere in grado di prestare ai commercian­ti ingenti somme di denaro.

A entrambe le famiglie, Capodiferr­o e Montani, i militari della guardia di finanza hanno sequestrat­o beni per oltre un milione e trecentomi­la euro, tra i quali la caffetteri­a «Bar dello Sport», al quartiere San Paolo, intestata ad Anna Mininni, sorella di Lucia e moglie di Andrea Montani, ex boss del San Paolo, recentemen­te tornato in carcere per rapina aggravata in concorso per un episodio accaduto a Carbonara che risale allo scorso 15 agosto. Sono stati messi i sigilli anche ad un compendio aziendale, a 35 conti correnti, tre auto e una motociclet­ta.

Il boss Secondo l’accusa al vertice dell’organizzaz­ione c’era Domenico Capodiferr­o

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Comandante Il generale Nicola Altiero
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Fino al 180% La banda applicava interessi da capogiro

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