Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Il futuro visto da Scianna e il suo rancore per il Sud

Il fotografo di Bagheria al Paisiello di Lecce presenta il suo libro «Obiettivo ambiguo» «Ho cercato quasi tutta la vita di smettere di essere siciliano, ma non ci sono riuscito»

- di Paola Moscardino

In un sabato di fine ottobre, alle dieci di mattina, Ferdinando Scianna è nel suo studio milanese. «Mi tengo sempre occupato – dice - faccio cose, perdo tempo e siccome abbiamo un grande avvenire dietro le spalle, come diceva Vittorio Gassman, mi preoccupo di mettere in ordine le mie foto». Un archivio immenso, oltre un milione di negativi. Dentro c’è tutta la sua vita, e un po’ anche la nostra. Settantaci­nque anni, bagherese di nascita anzi baarioto («chi dice bagherese è perché vuol sentirsi più fino; il baarioto invece ammette la sua terragna brutalità»), accento siculo come marchio di fabbrica, Scianna per sessant’anni ha fotografat­o feste religiose e avveniment­i politici, divi, modelle, animali, bambini, cantanti popolari e uomini ai margini. Non solo è uno dei più grandi maestri della fotografia, ma è uno dei rari fotografi che scrivono, anche (oggi è a Lecce al Festival Conversazi­oni sul Futuro – Teatro Paisiello ore 19 – per presentare il suo libro Obiettivo ambiguo, edito da Contrasto).

Per sessant’anni, foto e parole insieme. Mondi confinanti, ma che pure spesso rivaleggia­no. L’uno vorrebbe fare a meno dell’altro, e viceversa. E invece fotografar­e e scrivere sono della stessa materia, la stessa forma di resistenza a qualcosa: al decadiment­o, al tempo che passa. Un esercizio propedeuti­co alla nostra memoria.

Che rapporto ha con la memoria?

«Ho appena inaugurato una mostra a Forlì dal titolo Viaggio, racconto, memoria. Se la memoria avrà un futuro, ha scritto Leonardo Sciascia. Oggi questo è in discussion­e. La vera posta del potere non è, come hanno voluto farci credere, l’avvenire, ma la distruzion­e del passato. Se non sai da dove vieni, è più facile che ti conducano dove vogliono».

E lei da dove viene?

«Ho vissuto fino all’età di ventidue anni a Bagheria. Ho cercato quasi tutta la vita di smettere di essere siciliano, ma non ci sono riuscito». Perché è andato via?

«Per sfuggire a un destino piccolo borghese, perché ero andato a scuola e avevo voglia di realizzare dei progetti. Per inseguire un sogno, si dice in questi casi. Anche per una forma di rancore nei confronti del Sud. Quella in parte c’è ancora».

Eppure i suoi lavori sembrano rivendicar­e l’appartenen­za al Sud.

«Il Sud è un confine che un tempo è stato centro. Poi le vicende storiche lo hanno marginaliz­zato, e di quella grande pièce meridional­e è rimasta solo la scenografi­a. Io rivendico la condizione cosmopolit­a di questa periferici­tà».

Per l’apertura di un suo libro ha scelto una frase di De Martino: “Solo chi ha un villaggio nella memoria può fare un’esperienza cosmopolit­a”.

«E’ quello che penso, forse con un po’ di presunzion­e. Sono convinto che il centro oggi sia sempre più cieco, e che al centro si guardi meglio dalla periferia».

Ha lavorato molto in Puglia. Mi racconti un aneddoto.

«Ero a Martina Franca, città che amo, per il calendario Lavazza. C’era sempre questa tazzina da caffè che doveva diventare protagonis­ta. Come la faccio vedere? Alla fine mi sono ispirato al teatro della strada. I giovani al bar, una bella donna che passa, uno che dà voce, gli altri accorrono. La foto con la Cucinotta è nata così, senza troppa preparazio­ne. E’ il gioco erotico della seduzione: spero resista all’onda lunga del #MeToo».

Dica la verità, si è mai fatto un selfie?

«Io ho un telefonino trovato negli scavi di Pompei!». Ma lo farebbe?

«Un tempo non si chiamava così. Io ho fatto l’autoritrat­to, che però è diverso: ha a che fare con la costruzion­e dell’album di famiglia, marca un momento della tua esistenza. Il selfie è una reazione compulsiva, è conversazi­ona- le: invece di dire buongiorno, uno si spara una foto. Un po’ come Andy Warhol, che invece di darti la mano ti metteva una Polaroid in faccia».

Che foto farebbe per raccontare questo tempo?

«Non mi sono mai posto il problema di esprimere il senso del tempo che sto vivendo. Probabilme­nte tra qualche anno guarderemo i nostri tanti selfie, noi che diamo le spalle alla Gioconda, e penseremo che non ce ne fregava più niente dell’arte e delle cose intorno».

La inquieta?

«Prima sì, molto. Ora a settantaci­nque anni me ne fotto».

Lei è un uomo felice? «Potrei rispondere come rispose Graham Greene, che era cattolico, quando gli chiesero se credeva in Dio: in un lungo viaggio in treno, di ritorno da Parigi, alla stazione di Mentone ci ho creduto».

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 ??  ?? Ex voto Durante una procession­e un bambino viene alzato verso il santo per chiedergli protezione. Sotto un’autoscatto di Scianna
Ex voto Durante una procession­e un bambino viene alzato verso il santo per chiedergli protezione. Sotto un’autoscatto di Scianna
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