Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Il grande inganno consumato con il reddito di cittadinanza
Il Reddito di cittadinanza propagandato dal ministro Di Maio e M5S, va ridimensionandosi, perché criteri di accesso e modalità ne vanno circoscrivendo sempre più la platea dei destinatari e rinviando i tempi di attivazione. Difficile, quindi, esultare per una misura che potrebbe servire a 6-9 milioni di persone che non riescono ad assicurare una vita dignitosa alla propria famiglia.
Eppure di un reddito minimo condizionato anche l’Italia ha molto bisogno, per accompagnare gli individui nelle fasi critiche della loro vita lavorativa. Così come di una misura di contrasto alla povertà per chi vive in condizioni di fragilità sociale ed economica. Il problema principale è fare confusione tra queste due esigenze e affidare risposte diverse a un unico strumento. Questo è il grande inganno. Pretendere di tenere insieme, confondendole, la dimensione del sostegno al reddito da lavoro con la dimensione del supporto assistenziale per chi ha bisogno di lavoro ma anche di altri
supporti sociali.
Il governo Lega-M5S non fa altro che aggiungere il reddito di cittadinanza a tutti gli altri strumenti di welfare già esistenti (cig, naspi, disoccupazione, invalidità, assegni), senza razionalizzare nulla, senza dire cosa diventerà il ReI e ignorando la necessità di una preventiva e paziente opera di ricostruzione della rete dei servizi per l’impiego.
Serviva una riforma del welfare in Italia, per superare la contrapposizione tra welfare e lavoro, ma il reddito di cittadinanza sarà l’ennesima occasione mancata, perché non nasce da un approccio riformista ma da uno populista, quasi risarcitorio nei confronti di chi non avrà altri benefici, non ha imposte evase o immobili da condonare né beneficerà della flat tax.
Inoltre il reddito di cittadinanza è una misura meno “onesta” del Reddito di Inclusione (ReI): spaccia per una politica attiva del lavoro quella che è e resta una misura di contrasto alla povertà; promette almeno tre proposte di lavoro in due anni ma assicura otto ore la settimana
di lavori socialmente utili; ignora che chi ha un reddito insufficiente spesso ha anche condizioni familiari precarie e bisogni sociali più estesi; promette di stanare lavativi, consumatori “immorali” e furbetti ma invoca un’erogazione cash degli importi dovuti. Infine, il reddito di cittadinanza evoca il modello sociale europeo, ignorandone – perché lo ignorano i suoi padrini – il suo principio fondante che sta nella distinzione tra lavoro e welfare, mentre si scivola sulla definitiva trasformazione del lavoro in welfare. Che a Sud sarebbe più che definitiva, tombale.
D’altra parte questo equivoco è la cifra di una intera manovra finanziaria, e di un intero contratto di governo, che al Sud dedica poche battute e nega investimenti per lo sviluppo, concedendo in cambio solo un approccio assistenzialistico, e quasi borbonico, che presuppone, però, che il popolo meridionale non si desti presto dal torpore in cui è caduto.