Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
I sequestri, la rivolta operaia Benvenuto choc per Arcelor
Domani s’insediano i nuovi padroni dell’Ilva. I sindacati scrivono a Di Maio: riassunzioni irregolari Cinque milioni di tonnellate di rifiuti accatastati dietro l’acciaieria. I figli di Riva tra i nove indagati
Domani, all’Ilva di Taranto, s’insedia Arcelor Mittal. Ma i neo proprietari trovano un clima pesante, visto che la Guardia di Finanza ha sequestrato 530 ettari di terreni ridotti a discarica dalla presenza di rifiuti speciali. Non solo, i sindacati hanno scritto a Di Maio per «irregolarità» nelle assunzioni. Azienda convocata l’8 novembre al Mise.
L’era Mittal al siderurgico di Taranto parte in salita. Il nuovo padrone si insedia domani e già si ritrova sulle spalle un lascito giudiziario della famiglia Riva, che incombe tuttora sulle vicende tarantine, e la protesta dei sindacati per i criteri «unilaterali» di scelta degli assunti da parte di Am InvestCo. All’iniziativa della Procura tarantina, che ha messo i sigilli ad alcune aree dello stabilimento, il leader mondiale dell’acciaio è completamente estraneo, ma Fim, Fiom, Uilm e Usb chiamano direttamente in causa Arcelor Mittal muovendo contestazioni precise che sfoceranno in ricorsi collettivi e individuali ed, eventualmente, in proteste sotto la sede del ministero dello Sviluppo economico a Roma.
I militari del Nucleo di polizia economico–finanziaria della Guardia di Finanza di Taranto hanno eseguito un decreto di sequestro preventivo, emesso dal giudice per le indagini preliminari Vilma Gilli, di alcuni siti situati in parte vicino alla Cava Mater Gratiae, quindi in agro di Taranto, e in parte nelle vicinanze della gravina Leucaspide, nella zona di Statte. Il sequestro, in totale, riguarda una superficie di circa 530 mila metri quadrati nella quale erano stivati 5 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi e non pericolosi di origine industriale, in cumuli dell’altezza di oltre 30 metri sopra il piano campagna. Sono indagate a vario titolo nove persone, tra responsabili amministrativi e tecnici pro-tempore dell’Ilva nel periodo dal 1995 al 2012. I reati ipotizzati vanno dal disastro ambientale doloso alla distruzione e deturpamento di risorse naturali, dal danneggiamento al getto pericoloso di cose e mancata bonifica dei siti inquinanti.
Gli indagati sono cinque componenti della famiglia Riva, Fabio Arturo, Claudio, Nicola, Cesare Federico e Angelo Massimo Riva, facenti parte del Consiglio di famiglia; l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, il responsabile delle discariche per rifiuti industriali Renzo Tomassini; il responsabile del Laboratorio ecologia, oli e circuiti Antonio Gallicchio; il redattore della rendicontazione del piano di caratterizzazione Ilva-Sanac Domenico Giliberti. Secondo la Procura gli indagati avrebbero omesso di mettere in sicurezza le aree sequestrate risparmiando i costi della bonifica ed ottenendo così «un ingiusto vantaggio patrimoniale». Il gip sottolinea che all’interno della struttura denominata Consiglio di famiglia, retta da un Patto di famiglia, venivano prese «tutte le decisioni più importanti che riguardavano la gestione degli stabilimenti». E’ ovvio che «la decisione di occultare la situazione delle cosiddette collinette, dato il suo enorme rilievo ambientale ed economico, sia stata assunta proprio all’interno di tale struttura». Secondo il pm Mariano Buccoliero gli indagati «consentivano l’utilizzo e comunque mantenevano, senza metterle in sicurezza, diverse discariche abusive a cielo aperto dei rifiuti per le quali non era istituita alcuna documentazione contabile ambientale.In tal modo avrebbero determinato la realizzazione ed il mantenimento di grandi depositi costituiti dai rifiuti dall’altezza di oltre 30 metri. Tutte opere prive di copertura e rimedi contro lo spandimento di polveri pericolose per la salute, frane e dispersione in falda del percolato».
Intanto le proteste sulle modalità di trasferimento dei lavoratori da Ilva a Mittal si moltiplicano e si autoalimenta il sospetto, segnalato sui social, che volutamente la riassunzione non sia scattata per operai e impiegati autori di manifestazioni di palese dissenso verso una fabbrica che dispensa «malattie e morte». Fim, Fiom, Uilm e Usb «registrano molteplici incongruenze palesi sui criteri della professionalità, anzianità e carichi familiari, per effetto dei quali non vi è più ombra di dubbio come la selezione per centinaia dei distacchi sia stata operata attraverso criteri unilaterali da parte dell’azienda, di fatto al di fuori di quanto previsto dall’accordo». E chiedono «l’assoluto rispetto dell’accordo e il non discrimine dei lavoratori, altresì il confronto in sede aziendale a chiarimento delle molte anomalie riscontrate».
Esclusi
Il rientro in azienda non è avvenuto per coloro che hanno espresso dissenso
Inchiesta Sigilli scattati su un’area di circa 530 mila metri quadri Cumuli alti 30 metri