Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Privati e pubblico in sintonia Le tre chiavi oltre l’art bonus
Ogni opinione merita attenzione. Tuttavia il pezzo di Vincenzo Bellini sul Corriere del Mezzogiorno di domenica scorsa, apre molti spunti di riflessione sul tema del nuovo mecenatismo o umanesimo anche alla luce dei dati non particolarmente lusinghieri sull’art bonus in Puglia. Tengo a dirlo, art bonus è uno strumento formidabile per avvicinare i privati alla valorizzazione dei beni culturali e, come ha spiegato Carolina Botti di Ales durante il nostro open table, vale anche per le attività di gestione del patrimonio.
Intanto bene è dire che non tutte le forme di mecenatismo o di donazione o di marketing culturale, passano attraverso l’art bonus. C’è moltissimo sostegno fatto dalle imprese che è evidentemente non mappabile con sistematicità, ma che rappresenta da anni una quota significativa di investimenti delle imprese sulle attività delle industrie culturali.
Ho qualche perplessità a parlare di industria creative e culturali quando questa non supera l’ossimoro, come accade in questo territorio. Secondo una ricerca Civita del 2017 il 14% delle imprese italiane sopra i 50 addetti che sceglie di investire in cultura, lo fa per lo più in progetti regionali (62%), con una spesa media
di 82.500 euro. (campione di 1000 imprese italiane, sopra i 50 addetti, che hanno dichiarato di aver investito in ambito culturale negli ultimi 5 anni in rappresentanza dell’universo di riferimento di 24.300 imprese). Non mi paiono dati trascurabili.
A mio parere, ci sono molti più soldi che buone idee. Provo a spiegare questo assunto. Art bonus al Sud, e in Puglia, non ha funzionato soltanto perché le imprese non hanno colto le opportunità fiscali, che da sole non bastano a spingere all’azione una impresa. La differenza tra Nord e Sud sta tutta nell’autorevolezza dei proponenti dei progetti. Non voglio buttare la croce solo sulla pubblica amministrazione, che ha certamente le sue responsabilità, perché analogamente anche le industrie culturali non sono state capaci a mio parere di raccogliere le risorse che pure esistono - come confermano i dati - dalle imprese.
Se foste una impresa che vuole investire in valorizzazione di beni o attività
culturali del proprio territorio, quale elemento valutereste per primo, se non l’autorevolezza e l’affidabilità dei proponenti, ovvero la qualità progettuale e la capacità e credibilità di portarli a termine per più di una edizione? Vale tanto per la pubblica amministrazione quanto per gli operatori di cui ha parlato Bellini.
Solo per citare casi che conosco da vicino. Cosa spinge Exprivia ad investire da qualche anno su Lezioni di Storia di Laterza, Megamark sui
Dialoghi di Trani (18 edizioni)? Potrei citare altre simili azioni che non entrano certo nell’art bonus. Non sono semplici sponsorizzazioni. Allora perché le imprese non sostengono gli investimenti culturali, come dice Bellini? E cosa può mettere insieme mecenati e progetti.
Tre concetti semplici. Cura. Strategia. Misurazione. Cura in questo contesto vuol dire lavorare sulle affinità espansive tra pubblico e privato correndo qualche rischio, con il comune intento di sperimentare nuove forme di collaborazione. Le imprese sono stufe di ricevere richieste di sponsorizzazione. Cura per le imprese significa sviluppare una vera politica di welfare branding per curare il bene pubblico che si traduce in beneficio e cura per la propria marca. Come lo fai il welfare branding se non hai interlocutori affidabili? Cura per le imprese vuol dire passare dal posizionamento ad assumere una posizione, ovvero affermare un ruolo politico delle imprese per il benessere collettivo. In quale contesto socio-economico si colloca allora l’investimento culturale?
Su questi temi occorre davvero ripensare i rapporto tra mecenate e beneficiario. Strategia implica che l’investimento culturale sia inteso come un processo strategico aziendale e come tale richiede coerenza con i valori aziendali perché produca differenziazione competitiva. Ma ha rilevo strategico significativo quando ha continuità nel tempo. Per avere continuità deve essere misurabile. Misurazione significa porre degli indicatori in fase progettuale, durante e dopo la sua esecuzione. Tutti gli investimenti culturali rientrano nella nella cosiddetta Responsabilità Sociale di Impresa. Oggi su questo tema, per le aziende quotate, ma anche per quelle che non lo sono, ci sono indicatori internazionali di misurazione che costituiscono la ormai nota Dnf (rendiconto non finanziario). Misurazione significa essere consapevoli che ogni azione che compiamo come imprese agisce sulla nostra traccia sociale ovvero sulla nostra reputazione, che è oggetto misurabile. Altro elemento è la connessione tra azione culturale e vendite, come ha ben detto Gianni Maimeri durante il seminario del 25 ottobre. Non dobbiamo vergognarci di valutare che l’investimento culturale ha impatto anche su questo indicatore. Quando pubblica amministrazione e industrie culturali avranno compreso con quale logica le imprese possono investire, non sarà più necessario fare convegni sul tema.