Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Da Palestine a Trifonov due campioni in concerto
Dalla Vallisa al Petruzzelli resoconto di uno straordinario weekend al pianoforte
Due pianisti fuori dal comune in due sere consecutive a Bari. Succede anche questo, nell’uggioso inizio autunno cittadino, grazie alla passione di chi organizza concerti. Sabato sera alla Vallisa c’è l’ultrasettantenne americano Charlemagne Palestine, ospite del cartellone di Time Zones con i suoi pupazzetti colorati, una sorta di altare mistico e un pianoforte percosso con vigorosi cluster al punto da creare un muro di suono ricco di armonici, battimenti, risonanze; un’esperienza mistica e corporalmente molto concreta, uno spettro cromatico che ricorda le tele di Mark Rothko, apparentemente piatte e uniformi ma capaci di rivelare variegati universi al loro interno. Il giorno dopo, al Petruzzelli per la stagione concertistica della Fondazione, è di scena il ventisettenne russo Daniil Trifonov, pianista classico di inarrivabile virtuosismo, al punto che qualcuno l’ha già definito il Liszt dei nostri giorni; stupefacente “macchina musicale” che riassume in sé un paio di secoli di tecnica pianistica, cultura e sensibilità della vecchia Europa; un prodigio di finezza e di musicalità, insieme angelico e demoniaco come dice di lui un’altra grande pianista, Martha Argerich; mani di rapidità e precisione sovrumane dalle quali prende vita un fraseggio dallo spettro cromatico infinito. Non si potrebbe pensare a due modi più diversi e contrapposti di suonare il pianoforte; lontani quanto le culture e le sensibilità che li esprimono.
Chaim Moshe Tzadik Palestine, ebreo di Brooklyn cresciuto insieme ai poeti della beat generation, studi di canto indiano ed elettronica, ha un’idea sacrale e insieme buffonesca del concerto: come un clown consacrato a qualche imprecisata divinità, sale sul palco e dà inizio al “rito” che ha il suo culmine nella fase dello strumming. E’ questa la tecnica messa a punto da Charlemagne sul suo strumento d’elezione, il Bösendorfer che ha un suono denso e scuro oltre a un’ammirevole “durezza”: un’azione che è insieme streaming e drumming, battere sul pianoforte per creare un flusso sonoro continuo, dentro il quale si percepisce un movimento interno fatto di onde e micro-variazioni. Per questo, l’hanno spesso apparentato ai minimalisti, ma lui respinge l’etichetta con sdegno; semmai si definirebbe un massimalista, come altri “radicali” del secolo scorso.
Dal suo canto, Trifonov non cerca un modo nuovo di suonare il pianoforte ma dà alla tecnica strumentale un’anima nuova. Suona un Beethoven titanico (Andante favori e Sonata n. 18), poi uno Schumann aforistico e delicato (il Presto passionato e soprattutto i tredici Bunte Blätter) in una prima parte di concerto che dura quasi un’ora e mezza praticamente senza pause. Poi, nella secon- da parte, i venti minuti della Sonata n. 8 di Prokof ’ev, che è musica del Novecento dominata dall’invenzione più che dalla forma, vorticosa e non riconciliata. Trifonov non si risparmia; pure, sembra che ogni suo gesto gli costi il minimo sforzo e abbia la capacità di tirar fuori dal pianoforte un prezioso Fazioli, il massimo di potenza. Alla fine del concerto, tra bordate di applausi da parte del pubblico rapito, si alza e se ne va, con il suo passo elastico di ventenne in camicia e cravatta. E’ lui il presente e soprattutto il futuro del pianoforte classico: il numero uno dei prossimi venti, trenta, quarant’anni.
I colori L’ebreo di Brooklyn con i suoi pupazzetti crea un muro ricco di suoni armonici e battimenti
Generoso Daniil non si risparmia e dopo alcune esecuzioni titaniche prende bordate di applausi