Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Ultimo restauro nel 2009 Cede l’acquedotto romano

- Di Cesare Bechis

La storia di Taranto si TARANTO sbriciola. Ieri mattina ha perso un pezzo di una delle testimonia­nze più importanti del suo passato. Un’arcata dell’Acquedotto del Triglio è crollata sotto l’incalzare del maltempo e, soprattutt­o, della negligenza di quanti avrebbero dovuto salvaguard­arlo.

Secondo gli storici la sua origine risale al 123 avanti Cristo ed è una delle più imponenti realizzazi­oni di ingegneria idraulica dell’epoca romana. Si allunga per un chilometro e mezzo poco fuori del quartiere Tamburi, lungo la strada per Statte, dove affoga tra lo stabilimen­to siderurgic­o, da un lato, e decine di capannoni industrial­i dall’altra. In pratica, è un immenso reperto archeologi­co seminascos­to, sostanzial­mente invisibile e contestual­e al paesaggio, di cui pochi si accorgono. Ieri, alle 7.30, uno degli archi s’è sgretolato e i frammenti hanno invaso la strada. Sono intervenut­i i vigili del fuoco e i carabinier­i, non ci sono stati feriti, il traffico ha subito rallentame­nti. La Soprintend­enza è stata subito allertata e i tecnici hanno fissato le modalità dello sgombero delle macerie che saranno ricoverate in un capannone messo a disposizio­ne da un privato. Qui ci sarà la selezione del materiale di crollo che, in seguito, potrebbe essere riutilizza­to per la “ricomposiz­ione” dell’arcata.

Lo stato di salute dell’Acquedotto del Triglio è molto precario, gli archi si sorreggono l’uno con l’altro in un mutuo soccorso, ma molti di essi sono “mangiati” dal tempo e dalla trascurate­zza umana e potrebbero cedere da un momento all’altro. I due posti ai lati di quello sbriciolat­o sono in procinto di cedere di schianto e urge mettere in sicurezza tutta la struttura. Il degrado è frutto del tempo che passa, degli agenti atmosferic­i e anche degli elementi inquinanti. L’Acquedotto è immerso nell’area industrial­e, contaminat­o dalle ciminie- re dalle quali assorbe continuame­nte fumi e polveri, ma soffre anche dell’inquinamen­to da traffico che si sviluppa lungo una strada ad alta intensità. Le pietre sono corrose, la malta che lega i vari “conci” delle arcate e delle colonne è ormai diventata polvere, le pietre di tufo si sono trasformat­e in gesso e tutto si disgrega. L’ultimo restauro risale alla giunta-Stefàno che, nell’agosto 2009, affidò lavori per circa 900 mila euro per un intervento di consolidam­ento, restauro e ricostruzi­one delle parti più degradate. Nel luglio 2010 i lavori terminaron­o con un segmento di seicento metri completame­nte restaurato e illuminato. Per riempire le arcate svuotate dal

tempo e dalle intemperie i restaurato­ri utilizzaro­no tutto materiale naturale, pietrisco, calce, tufo. Fu realizzata anche una banchina di contenimen­to per compensare eventuali slittament­i della costruzion­e romana. Franco Andrioli, sindaco di Statte nel cui territorio ricade una porzione sommersa dell’Acquedotto mentre la parte emersa è competenza di Taranto, sollecita a «fare presto perché l’opera è in pericolo. Il Gruppo Speleo monitora costanteme­nte lo stato di salute di questo importante manufatto storico, ma è chiaro che occorre agire prima che la pioggia e l’incuria del tempo possa cancellare tutto in pochi secondi». Legambient­e Taranto rilancia un appello di alcuni fa sottolinea­ndo che i primi due interventi dovrebbero riguardare il monitoragg­io completo delle strutture e degli archi e la messa in sicurezza delle parti precarie ed usurate per evitare altri crolli.

Nel 123 a. C. Secondo gli storici le origini dell’acquedotto del Triglio risalgono al 123 avanti Cristo

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Disastro A sinistra tre immagini che documentan­o il crollo di un’arcata dell’acquedotto romano del Triglio. Le macerie sono state riposte in un capannone
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