Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Batterio, dazi e gelate la Puglia a rischio crisi
Ismea e associazioni stimano un calo della produzione sotto le 100 mila tonnellate Servono misure urgenti per sostenere le aziende
Il settore oleario in Puglia vanta un fatturato che supera mezzo miliardo di euro l’anno e può contare su un tessuto imprenditoriale composto da 270 mila imprese, che pesa oltre un quinto delle aziende olivicole italiane. Non solo, in quanto l’olio è il terzo prodotto regionale più esportato, per un valore di circa 106 milioni di euro, quasi il 9% dell’export nazionale sui mercati di tutto il mondo. Il nostro Paese, dopo la pasta e le conserve di pomodoro che rappresentano il 65% del valore dell’export in Europa, è in seconda posizione per le vendite oltre confine nell’Ue dell’olio d’oliva, con una quota pari al 23%. Nell’ambito della produzione mondiale 2017/2018, che si è attestata sopra i tre milioni di tonnellate, a frantoi ormai chiusi, l’Italia ha registrato un boom con 429 mila tonnellate, +135% rispetto alle 182 mila tonnellate della stagione precedente. Grazie proprio alla Puglia che ha superato la soglia delle 200 mila tonnellate. Non solo, ma si tratta di un olio di elevata qualità, e non a caso quello italiano vanta il maggiore numero in Europa di Dop (43) e Igp (4) per l’extra-vergine.
Pochi numeri, ma necessari, perché, solo scattando un’istantanea di uno dei più vivaci e robusti comparti dell’economia regionale, si può capire a fondo quanto incidano sulla vita dei pugliesi le prospettive future della produzione olivicola, i cui riflessi sono immediati sul Pil, sull’occupazione, diretta e indotta, sugli investimenti e sui consumi di questo territorio. Per questo motivo preoccupano non poco le previsioni dell’osservatorio Ismea, ma anche delle associazioni di categoria, che, valutando il possibile andamento della campagna produttiva 2018–2019, paventano forti difficoltà per la scarsa quantità di prodotto disponibile. Su questo fenomeno pesano sia la naturale alternanza delle annate olivicole, sia le cattive condizioni climatiche susseguitesi dall’inverno in poi e che hanno provocato danni da gelo e favorito attacchi di patogeni. La provincia di Lecce paga anche gli effetti della Xylella, con un danno stimato superiore a un miliardo di euro. Nelle prospettive più nere, si stima che la Puglia potrebbe vedere la sua produzione di olio crollare al di sotto delle 100 mila tonnellate, addirittura inferiore a quella già particolarmente scarsa del 2016. Una contrazione della produzione che sfiorerebbe il 60%, in base alle previsioni ancor più pessimistiche della Coldiretti, che colloca al minimo storico di 87 mila tonnellate il punto di caduta. Sarebbe davvero un durissimo colpo per il prodotto più rappresentativo della dieta mediterranea, in quanto la brusca diminuzione di olio extravergine pugliese farebbe crescere ancora le importazioni di olio dall’estero, principalmente da Spagna, Grecia e Tunisia, già oggi venduto in alcuni supermercati e, soprattutto, in numerosi discount a meno di 6, 7 euro al litro, che non coprono neanche i costi di produzione. Con tutti i rischi di sofisticazioni e contraffazioni conseguenti.
Bisogna correre subito ai ripari e sostenere in tutti i modi un settore che rischia di entrare in un tunnel oscuro dal quale non si sa come e quando riuscirà ad uscire, scontando gravi difficoltà, con l’obiettivo di farlo uscire in tempi rapidi dalla crisi. Sia agevolando nei modi e nelle forme possibili le aziende del settore, almeno nel breve periodo, al fine di aiutarle ad affrontare e risolvere i nodi congiunturali della prossima campagna. Sia, soprattutto, combattendo con strumenti concreti e innovativi la concorrenza sleale dell’olio importato, attraverso controlli serrati e obblighi più stringenti di etichettatura. Il ministro leghista Centinaio ha promesso di difendere il made in Italy contrastando in sede europea ogni proroga di quei dazi zero che fu decisa dall’Europarlamento per sostenere l’economia tunisina, colpita dal crollo del turismo, conseguente agli attacchi terroristici. Una decisione geopolitica, pur corretta, non deve, però, sacrificare i produttori pugliesi sull’altare di interessi più grandi di loro.