Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La depressione stagionale in autunno
Perché colpisce in questo periodo dell’anno, come si riconosce e quali sono le nuove cure? Lo spiega il professor Giovanni D’attoma, neuropsichiatra e psicoterapeuta
Dolce novembre, ma non per tutti. Con il ritorno dell’autunno molte persone cadono (o ricadono) nella cosiddetta depressione stagionale. Una situazione di malessere generalizzato che il professor Giovanni D’attoma (nella foto sotto), specialista in neuropsichiatria, psicoterapia e neuroendocrinologia, studia e cura da tempo. «Diversi disturbi dell’umore - spiega l’esperto - come gli episodi depressivi maggiori, ma anche il disturbo bipolare possono avere la caratteristica di manifestarsi in particolari periodi dell’anno, da novembre ad aprile ed esaurirsi in primavera, ma esiste anche una tipica depressione stagionale che si manifesta con astenia, disturbi del sonno, in particolare ipersonnia, scarso impegno nell’attività lavorativa e difficoltà nel rapporto sessuale». Perché questa patologia si manifesta in autunno e quali sono i soggetti più colpiti? «In autunno, in tutti gli esseri viventi, si realizza un calo si serotonina che rappresenta uno dei neurotrasmettitori coinvolti in questa patologia. Questa condizione è favorita da un alterato ritmo della melatonina. Vengono particolarmente colpiti i soggetti geneticamente predisposti con particolari problemi di stress». Ma come si distingue una condizione “clinica” delle innumerevoli situazioni di frustrazione, tristezza e demoralizzazione? «La depressione ha caratteristiche cliniche standardizzate e fa comunemente riferimento all’episodio depressivo maggiore, che è caratterizzato da una serie di disturbi che vanno dall’umore depresso, alla perdita di interesse per quasi tutte le attività, disturbi del sonno, agitazione o rallentamento psicomotorio, sentimenti di autosvalutazione che dovranno essere presenti contemporaneamente (almeno cinque dei sintomi) per un periodo di due settimane e rappresentare un cambiamento sostanziale rispet-
to alle condizioni precedenti». E le cause, quali sono?
«Oggi ne sappiamo più di ieri sulla depressione, ma non conosciamo con certezza la vera causa. In passato si è ipotizzato che potesse dipendere da una carenza di serotonina (5HT). Gli studi successivi hanno chiarito, però, da una parte il ruolo della 5HT, di cui sono stati scoperti numerosi recettori e solo qualcuno di questi gioca un ruolo importante nella depressione. Inoltre, è stata definita meglio l’importanza dell’ipotalamo, vera centralina della nostra emotività, nel difenderci dallo stress attraverso un incremento del cortisolo. Studi recentissimi valorizzano il ruolo dei recettori del cortisolo (GR) presenti a livello ipotalamico ed influenzati da una serie di numerosi peptidi, tra cui anche alcuni ormoni femminili. Ecco perché colpisce soprattutto le donne». Parliamo delle cure.
«Da oltre 15 anni utilizzo un trattamento molto semplice come la “light therapy”, una tecnica disponibile nel nostro di Centro Cefalee e Neuropsichiatria ad Ostuni. Con la “lighth therapy” ottimizziamo il ritmo circadiano della melatonina, migliorando le basi biochimiche di questa malattia. Le terapie, comunque, sono variabili e si possono integrare la psicoterapia con i
Quanto conta il fattore genetico? Le più colpite sono le persone predisposte e con particolari problemi di stress
Lo specialista prescrive la terapia personalizzata, secondo la gravità del caso e l’evoluzione della patologia
farmaci. Per guarire, è indispensabile comprendere anzitutto la gravità della malattia: non tutti gli antidepressivi, per esempio, vanno bene per tutti i depressi. L’esperienza e la competenza dello psichiatra consentono di personalizzare la terapia, aggiornandola in relazione all’evoluzione della patologia. Un secondo e rilevante aspetto è il ruolo della famiglia che, spesso, sottovaluta le difficoltà del paziente depresso e lo incita, sbagliando, a venirne fuori con la sola forza di volontà. Con i miei pazienti utilizzo, anche nelle forme gravi di depressione, un trattamento psicoterapico. Se noto una qualche forma di accettazione e di impegno, proseguo su questa strada con o senza l’aggiunta di uno psicofarmaco. Vi sono pazienti resistenti a qualsiasi psicofarmaco (antidepressivi, antiepilettici, antipsicotici ecc.) per i quali oggi esistono nuove tecniche che consentono molto spesso di ottenere buoni risultati, come il TMS (transcranic magnetic stimulation) e il tDCS (transcranial direct current stimulation) che utilizziamo nel nostro Centro Cefalee e Neuropsichiatria». È vero che in casi molto gravi si utilizza ancora l’elettroshock?
«Molti miei colleghi lo usano, ma io preferisco le nuove tecniche, in particolare il TMS che dà risultati egualmente soddisfacenti rispetto all’elettroshock, senza però gli inconvenienti legati a questa tecnica, senza disturbi collaterali». Professore, tra le caratteristiche di questa terribile malattia c’è anche quello delle eventuali ricadute. Si possono prevenire e come? «Le ricadute sono correlate alla gravità della malattia, al trattamento farmacologico e psicoterapico. Per le forme depressive di non particolare gravità e, in particolare nei giovani, preferisco l’utilizzo della psicoterapia e, quando il paziente non partecipa attivamente al trattamento, aggiungo qualche farmaco. Molti pazienti sospendono il trattamento appena stanno meglio, altri lo proseguono all’infinito con tutti gli effetti collaterali che tali farmaci producono, altri pazienti convivono con questa patologia. Le recidive, quindi, sono spesso correlate ai farmaci utilizzati, alla durata del loro trattamento e alla gravità della malattia». Risponde il dottor Marcello Bellacicca, direttore sanitario del centro di radiologia ed ecografia “Aemmegi srl”, a Valenzano.
«Egregia signora, in effetti il dolore lombare è una situazione molto frequente. Può essere riferibile a litiasi renale, ma in questo caso è in genere associata a fenomeni di infezione delle vie urinarie e il dolore si irradia all’inguine. Spesso la lombalgia non associata a irradiazione all’arto inferiore è un dolore di tipo muscolo scheletrico causato da conflitto delle articolazioni dell’arco posteriore vertebrale. Prima di tutto dobbiamo fare diagnosi, quindi una radiografia del rachide lombare e una ecografia delle vie urinarie ci daranno importanti informazioni insieme ad un semplice esame delle urine. Se le indagini ci indirizzeranno verso la litiasi renale, dovrà bere due litri d’acqua al giorno e, se il problema non si risolve in pochi giorni, dovrà consultare l’urologo. Se invece le indagini ci faranno pensare a un problema muscolo scheletrico, sarà opportuno rivolgersi ad un buon centro di fisioterapia. Eventualmente, gli specialisti consultati valuteranno se approfondire l’iter diagnostico o meno».