Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Nidi d’Arac a Parigi dalla pizzica alla trap
Il leader dei Nidi d’Arac racconta le esperienze da cui è nato il nuovo disco «Face B»
Lecce, Roma, Parigi è il triangolo da cui nasce Face B, il nuovo lavoro dei Nidi d’Arac, una delle massime espressioni della world music internazionale. Formazione con radici nel Salento, nata a Roma a metà anni ’90 e che oggi trae linfa vitale dall’opera del leader Alessandro Coppola, responsabile artistico-musicale dell’Espace Jeunes Mahalia Jackson di Parigi, centro dedicato ai giovani a rischio e basato sull’Educación popular. Ne parliamo alla vigilia delle presentazioni del disco al Mat di Terlizzi questa sera, domani al teatro Modugno di Aradeo e domenica a Ferrandina, Matera.
Coppola, cos’è Educaciòn popular?
«Da 5 anni lavoro a Parigi, da 3 con un contratto con il Comune, portando avanti questo progetto innovativo di accompagnamento di giovani musicisti locali. Una esperienza di formazione informale, di apprendimento con la pratica, che ricorda il coach dei talent show. Non è un insegnamento istituzionale: accompagno gli artisti, gli sono accanto nella loro evoluzione, senza formattarli secondo modelli precostituiti».
E Face B nasce proprio da questo percorso?
«È un termine che viene dal vocabolario trap, riferito a brani realizzati con pochi mezzi a partire da un lavoro già esistente. I Nidi si trasformano di continuo grazie all’incontro di persone, luoghi, esperienze. Siamo partiti anni fa dalla Roma dei centri sociali, in cui si fondevano radici popolari e generi come il dub. Otto anni fa mi sono trasferito a Parigi per collaborare con l’agenzia che produceva i Mano Negra».
Una strada che oggi ti porta a contatto con il genere prediletto dei giovani di tutto il mondo, la trap.
«Parliamo sempre di musica popolare. La trap è oggi la musica del popolo. I ragazzi scaricano le basi e ci rappano sopra. Poi scoprono la produzione musicale lavorando insieme. È un modo di apprendere con la pratica che mette in discussione il mio e il loro vissuto».
Quindi, Face B.
«Questo è un disco postmoderno, informale, internazionale. Quattro canzoni sono inedite, le altre sono prodotte riarrangiando lavori precedenti su ritmiche tribali tipiche della trap. Rompe gli schemi del disco senza perdere il legame con la tradizione, che è la nostra cifra identitaria».
Quello che racconti del modo di far musica dei ragazzi parigini richiama alla memoria l’approccio punk.
«I Clash e Sandinista! sono un riferimento per me. Il genere è già un limite alla libertà. La mia filosofia è guardare la musica senza limiti. La trap è democratica. Nel punk si creavano pezzi con due accordi. E anche le critiche sono le stesse, vedremo che succede: la cosa più affascinante è l’afrotrap, un movimento molto vivo a Parigi che si richiama alla cultura tribale africana».
Che posto hanno la Puglia e il Salento in questo percorso così metropolitano?
«Restiamo molto legati alla Puglia. Siamo stati il primo gruppo a suonare all’estero, anche al Womex, con il sostegno di Puglia Sounds, che ci è accanto ancora oggi. Io scrivo ancora i pezzi in salentino, mescolato con l’italiano e il francese. Ora riportiamo a casa questo lavoro, non vedo l’ora. Non posso fare a meno di tornare almeno due volte all’anno».