Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Laterza e Cantieri Koreja, domani il doppio omaggio ad Alessandro Leogrande
Un anno fa scompariva improvvisamente il giovane scrittore e giornalista tarantino Due appuntamenti, a Bari e a Lecce, ne ricorderanno la figura, il pensiero e le visioni
Domani il Corriere del Mezzogiorno insieme con tanti amici tornerà a dialogare con Alessandro Leogrande. E’ trascorso un anno da quando ci ha lasciato, morendo a 40 anni improvvisamente. Lo ricorderemo in contemporanea a Lecce e a Bari, al teatro Koreja e alla libreria Laterza, dalle 18,30 cercando di disegnarne il profilo letterario e umano non solo per non dimenticarlo, ma soprattutto per definire il grande vuoto che il suo lavoro ha lasciato.
A Lecce con Fabrizio Versienti, capo della cultura del Corriere del Mezzogiorno, interverranno fra gli altri Goffredo Fofi, critico letterario e direttore de «Lo Straniero», rivista della quale Alessandro era vice direttore, Salvatore Tramacere e Admir Shkurtai, rispettivamente regista e compositore della opera Kater i Rades, che Leogrande aveva scritto su uno dei naufragi più devastanti nel nostro mare, e l’assessora regionale Loredana Capone.
A Bari invece il profilo dello scrittore e giornalista lo definiranno, insieme con Luigi Quaranta e Maddalena Tulanti, il critico letterario Enzo Mansueto, i professori dell’università di Bari Onofrio Romano e Lea Durante, il presidente della Fondazione Gianni di Vagno, Gianvito Mastroleo e l’editore Livio Muci, che ha avuto il ruolo di traghettatore di Alessandro in Albania, dove egli era così apprezzato che qualche mese fa gli è stata intitolata una strada a Tirana.
Alessandro Leogrande è stato uno dei nostri più cari editorialisti, ma anche il giornalista che aveva fatto del reportage un genere letterario. Tutto quello che scriveva, sia in un articolo, sia in un libro, era stato sperimentato e conosciuto di persona. Come i personaggi de La frontiera, incontrati uno a uno; come i «caporali» del «viaggio tra i nuovi schiavi», che aveva visto e intervistato; come le storie di calciatori e di calcio, sport di cui era un appassionato cultore. E come i lavori sull’Argentina dove nell’anno della morte si era trasferito per una ricerca storica sulla dittatura e su Allende e che aveva cominciato a pubblicare in articoli prima che diventassero libri. Come rideva quando ci comunicava che aveva ricevuto importanti premi come il «Napoli», il «Kapuscinski», il «Sandro Onofri», il «Luigi Russo» o il «Volponi». Era felice, chiaro, ma sempre con l’aria di chi non credeva che avesse fatto chissà che cosa per meritarli.
Ha scritto bene ieri Michele Pennetti, capo della redazione barese del Corriere: a un anno di distanza «non siamo riusciti ancora a metabolizzare quella terribile notizia, a elaborare la perdita, la redazione ne è rimasta stordita, non l’ha mai accettata». Perché Alessandro era diventato sul serio uno di famiglia, un amico, nonostante il suo ingresso al giornale non fosse stato dei più semplici, o forse proprio per questo. Vale la pena di ricordarlo. Il primo editoriale che scrisse, a proposito della vita politica della sua Taranto, era stato considerato molto duro, tagliato con l’accetta come si dice, non nello stile Corriere, come orgogliosamente gli spiegammo. E per questo gli furono proposti alcuni tagli e alcuni cambi di aggettivi. Apriti cielo. Non solo non volle tagliare né ammorbidire quello che aveva scritto, ma ritirò l’articolo e chiuse ogni comunicazione con noi, ritenendo il Corriere un giornale non adatto a lui. Passarono alcuni anni e un giorno qualunque in cui il giornale doveva esprimersi di nuovo su Taranto il suo nome fu fatto senza pensarci troppo. «Telefoniamo a Leogrande». Alessandro rispose. E tornò. Della polemica piccola piccola che ci aveva allontanati ne parlammo molti anni dopo ognuno cercando di andare incontro all’altro. «Forse avevamo esagerato», «no, forse ero troppo giovane». Era così Alessandro, uno che ascoltava le ragioni dell’altro per capire le proprie. Diceva che era una questione di famiglia, che questa capacità di ascolto gliela aveva trasmessa il suo papà Stefano, il «professore», direttore della Caritas tarantina, morto tre mesi dopo il figlio, che al momento di dare la terribile notizia del ritrovamento senza vita di Alessandro nell’appartamento romano, annunciò che sentiva «pesantemente scendere le ombre nella mia vita». E’ vero che era molto malato il professore, ma di sicuro la perdita del figlio aveva accelerato la sua fine.
Ci siamo fatti l’idea passando gli anni che Totò non aveva del tutto ragione sulla livella che rende uguali dopo la morte. Uguali nella tomba, ma fuori, nella vita di chi resta, forse non tutti lasciano lo stesso vuoto. Alessandro Leogrande ne ha lasciato uno incolmabile perché era uno di quegli umani che aveva il coraggio della bontà e dell’indignazione. Come aveva scritto Roberto Saviano il giorno della sua morte.
Rigore e passione Editorialista del Corriere del Mezzogiorno, rigoroso e appassionato nel raccontare la sua Taranto