Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«Qui a Japigia si muore ancora»
I residenti nella palazzina dei tumori chiedono di allargare le indagini ad altri edifici
Lanciano un appello i residenti del quartiere Japigia. Chiedono risposte e ulteriori accertamenti. Allargando anche il raggio d’azione delle indagini. Perché il timore è che la vicenda abbia varcato i cancelli della palazzina al civico 16 di via Archimede dove si sono registrati, negli ultimi venti anni, ventuno morti per tumore contratto dalla respirazione dei veleni dell’ex discarica dismessa.
Chiedono risposte e ulteriori accertamenti. Allargando anche il raggio d’azione delle indagini. Perché il timore è che la vicenda abbia varcato i cancelli della palazzina al civico 16 di viale Archimede.
Non si arrendono gli inquilini e i familiari delle vittime dell’edificio popolare di Japigia, dove tra il 1990 e il 2015 sono stati accertati 21 casi di tumore provocati, secondo la Procura, dalle sostanze tossiche, diossina su tutte, sprigionate dai roghi nella vicina ex discarica comunale di via Caldarola a Bari. Poi trasformata in un parco, la “Montagnola”, ma mai dimenticata da chi, sin dai primi anni ’80, arrivò da queste parti realizzando il sogno di una casa popolare. Una casa però ad appena 300 metri dalla pattumiera della città, attiva sino al 1971, ma bonificata solo ventisei anni dopo.
Oggi per questi ventuno casi la Procura chiede l’archiviazione essendo trascorso troppo tempo per perseguire penalmente il reato di morte come conseguenza di un altro reato, ipotizzato a carico di ignoti. «Ma le malattie e le morti si stanno ancora verificando. Questa è la ragione principale per la quale i reati non si sono prescritti e chiediamo che la Procura continui a fare il suo lavoro dal punto di vista dell’accertamento delle responsabilità» ripete il legale degli inquilini, Michele Laforgia, in una selva di telecamere piombate su questa “terra dei fuochi” in scala barese. «Qui siamo di fronte a un gigantesco problema di carattere pubblico. Non è una piccola questione locale, ma un enorme disastro» aggiunge il penalista elencando una serie di domande alle quali solo la prosecuzione delle indagini potrà dare risposte e fugare ogni dubbio. «Come è stato possibile – si chiede il legale – costruire un edificio Iacp in una zona sostanzialmente da discarica a cielo aperto? Come è stata gestita poi la discarica dopo la dismissione del 1971? Come mai ancora oggi la palazzina (fu una delle prime a essere costruita e consegnata nel 1982, ndr) è priva del certificato di abitabilità?». Ma non solo. Il penalista va oltre: «È un problema che riguarda solo la palazzina di via Archimede 16 o può riguardare anche altri edifici?».
Da qui la richiesta di un’indagine epidemiologica su larga scala in un’area densamente abitata. A pochi metri c’è la cittadella scolastica Polivalente e una batteria di palazzine costruite nel tempo. Ma quella di viale Archimede 16 fu la prima ad essere realizzata diventando così la più esposta nel tempo ai fumi della discarica, soprattutto sulla parte ovest dell’edificio. «Invitiamo altre famiglie a farsi avanti, a segnalarci casi simili ai nostri» è l’appello degli inquilini.
«Fin dagli anni Settanta osserva Laforgia - le autorità pubbliche avevano contezza che quella fosse una zona a rischio salute, però ci sono voluti trent’anni e qualche decina di malati per cominciare ad occuparsene». Ma ci è voluto anche il fiuto di alcuni inquilini. «Perché a un certo punto – spiegano – ci siamo resi conto che non era solo una macabra coincidenza». E infatti non lo era.
I consulenti tecnici tramite il confronto statistico con i dati pubblicati nel registro tumori della Regione Puglia per la provincia di Bari sono arrivati alla constatazione che il rischio di neoplasia per gli abitanti del condominio via Archimede 16 è pressoché quadruplicato rispetto al resto degli abitanti del Barese. E che questo non è dovuto al caso.
Ampliare le indagini
I residenti dell’edificio di via Archimede, rappresentati dall’avvocato Michele Laforgia, chiedono ulteriori accertamenti