Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
L’EFFETTO INVERSO DEL DECRETO DIGNITÀ
Appena un quinto delle imprese metalmeccaniche di Bari e Barletta pensa di trasformare a tempo indeterminato i contratti a termine, e un terzo non intende neppure rinnovarli alla scadenza. È il primo, negativo, effetto di quel decreto Dignità che il governo gialloverde aveva presentato in pompa magna come strumento capace di mettere la parola fine alla precarietà del Jobs Act. Preoccupano i dati del report di Federmeccanica. E per quanto il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, ci tenga a sottolineare, peraltro correttamente, che al Centro-Nord la tendenza è diversa, non c’è alcun dubbio che, numeri alla mano, al Sud il decreto Dignità, alla prima, vera prova del fuoco non stia dando i risultati sperati. Tra il terzo trimestre 2017 e lo stesso periodo di quest’anno i rapporti di lavoro attivati nelle regioni meridionali sono diminuiti di quasi 11 mila. Il fenomeno riguarda in prevalenza le donne, e ciò si spiega col fatto che la conciliazione casalavoro nel Mezzogiorno è ben più ardua che altrove. In Puglia in particolare, osserva l’Osservatorio ministeriale, sono stati avviati in totale poco meno di 313 mila lavoratori, equivalenti all’1,4% in meno rispetto ai 12 mesi precedenti.
Le cause? Troppe cessazioni di contratti, innanzitutto, perché ai primi sintomi di una recessione alle porte sono le aziende più fragili, e quindi le meridionali, in gran parte piccole e piccolissime, a non rinnovare i rapporti di lavoro in scadenza. Troppe le crisi. Ma anche, e il report Federmeccanica lo spiega, estrema difficoltà a reperire il personale che serve al sistema delle imprese. E qui il problema diventa davvero un macigno. Perché sono tanti i giovani laureati al Sud, ma il più delle volte hanno specializzazioni non legate alle attuali necessità del mercato del lavoro. Mentre i migliori, la vera aristocrazia del capitale umano meridionale, se ne va altrove, dove si guadagna di più e dove le occasioni per far carriera ed emergere sono ben più vaste. A ciò si aggiunge la stretta sui contratti a termine conseguente al decreto Dignità, che possono durare al massimo due anni e non tre come in passato. Per di più, con una manovra di bilancio ancora in alto mare, non c’è certezza che saranno reintrodotte le agevolazioni contributive sulle nuove assunzioni o sulle trasformazioni dei contratti a tempo indeterminato, nelle regioni del Sud. E allora gli imprenditori preferiscono restare alla finestra e aspettare. Ma intanto i lavoratori vanno a casa e i conflitti sociali aumentano invece di diminuire. E non sarà certo il reddito di cittadinanza, da solo, a risolvere i problemi di un Sud che si allontana dalla parte più sviluppata del Paese.