Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
C’è un palco per tutti Il teatro va in periferia
Con il Comune e il Tpp realizzati tre laboratori nei quartieri Libertà, Enziteto e San Paolo Si lavora sulla drammaturgia e sul ruolo dell’attore. E soprattutto si vedono gli spettacoli
«Il teatro ha bisogno dei cittadini», diceva Paolo Grassi. Di tutti loro, periferie comprese. A sradicare l’idea che il teatro sia qualcosa di elitario, tentando di ricucire una distanza fisica e morale che si è fatta abissale, ci provano tre laboratori teatrali rivolti agli abitanti dei quartieri Libertà, San Paolo e Enziteto avviati dal Comune di Bari con il Teatro Pubblico Pugliese. «Qui è difficile anche prendere un caffè, su 20 persone solo due erano state in un vero teatro», ci racconta Damiano Nirchio alla guida del gruppo di San Pio che si riunisce all’Accademia del Cinema mentre Marinella Anacalerio e Lello Tedeschi curano quelli alla Fondazione Giovanni Paolo II e al Redentore. «Seguo un gruppo di 15 donne – spiega Tedeschi – abbiamo già fatto due incontri e visto A Testa in giù con Solfrizzi: la novità è proprio l’esperienza dell’andare a teatro, ‘in qualche modo ti costringe ad essere educato e a stare a contatto con gli altri nel foyer’, dicevano. Io mi sono sentito un po’ il maestro Manzi».
Il laboratorio (6-8 incontri per quartiere) si sviluppa in un percorso che parte dall’analisi del testo, passando per l’educazione alla visione di tre spettacoli della stagione comunale fino alla scoperta di luoghi come Petruzzelli, Abeliano e Kismet. C’è la nonna con nipotino, casalinghe 30enni con figli, pensionati, una 82enne, una ragazza marocchina. Nirchio li ha messi all’opera sul suo nuovo spettacolo Il Principino, uno spaccato di vita barese a cui si sono subito appassionati, «abbiamo visto il video dello spettacolo prendendoci la libertà di fermarlo, rielaborare, condividere una passione reale che non vedevo da tempo, qualcuno piangeva – racconta – l’approccio è più viscerale, siamo rimasti a lungo ad analizzare, è una di quelle occasioni in cui non guardi l’orologio».
Concentrazione e poche sovrastrutture, «senza pensare al bon ton, all’abito buono, al ristorante dove andare dopo», come spesso accade nei teatri cittadini. «Mi ha colpito – afferma Tedeschi - l’acutezza delle osservazioni sul lavoro dell’attore e sulla drammaturgia. Mi facevano notare come l’interpretazione di Solfrizzi fosse un po’ troppo comica per il suo personaggio alto borghese».
Ad accomunare i laboratori, il sentimento di abbandono e di essere tagliati fuori, espresso anche al sindaco in occasione della sua visita all’Accademia durante uno degli incontri. Certo, i partecipanti hanno gradito la volontà di non lasciarli indietro. Se andare a teatro rimarrà una esperienza isolata, «un giorno di vacanza dalla propria vita», sarà il tempo a dirlo. «Il teatro è una parola per ricchi per loro, infatti si stupivano che ci fosse ogni genere di spettatore in platea», ammette Tedeschi.
Per i cittadini del San Paolo il viaggio proseguirà con Il Maestro e margherita; le «classi» di Enziteto e Libertà andranno a vedere L’importanza di chiamarsi Ernesto e Riccardo 3, poi entrambe chiuderanno l’esperienza a gennaio con La notte poco prima delle foreste di Koltès. Un testo tosto da preparare al meglio: «però Favino è bono», dice qualcuno, molti ricordano il monologo di Sanremo. «Se si esce dai panni dello spettatore professionista, si può sempre trovare la chiave giusta per farsi portare da un’altra parte e lasciarsi emozionare». E cos’è il teatro se non questo?