Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Un ecosistema di imprese per colmare il gap con il Nord
Ese provassimo a raccontare il Mezzogiorno a partire dalle sue imprese? Quelle di eccellenza, cosiddette motrici, di cui un tempo si è parlato tantissimo e quelle di una dorsale manifatturiera, che nel Mezzogiorno esiste e, parola benedetta, resiste.
Una resistenza che, colpevole ignorarlo, produce prodotto interno lordo ma, al contempo, valore e capitale sociale. Perché ogni azienda è – anche - un piccolo microcosmo dove la qualità delle relazioni è il vero valore aggiunto, la vera straordinaria leva per la competitività.
Per questo non è assolutamente fuori luogo quel che ha sottolineato nell’assemblea nazionale di Cna a Milano il presidente Daniele Vaccarino mettendo in guardia sul divario territoriale ormai scomparso dal dibattito pubblico. E quel che l’ultimo report dell’Osservatorio Banche-Imprese evidenzia: la forbice Nord-Sud destinata ad allargarsi già nel 2018 mentre il recupero dei valori Pil ante 2008 non sarà completato nel Mezzogiorno prima del 2028.
C’è un antidoto a tutto questo? C’è: si chiama ecosistema per le imprese. Fatto di qualità territoriale, infrastrutture per la mobilità e la logistica, amministrazioni pubbliche alleate delle imprese (qui vale la pena dirlo: esiste una burocrazia buona e virtuosa), investimenti in infrastrutture materiali e immateriali.
Lo abbiamo detto a Milano nella nostra assemblea annuale, lo hanno ribadito tutte le associazioni datoriali il 3 novembre scorso a Torino, lo sa quotidianamente il mondo produttivo italiano, non quello della finanziarizzazione ma quello che sceglie di reinvestire gli utili e che scommette su ruolo e valore sociale dell’impresa.
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L’antidoto
La qualità territoriale, le infrastrutture per la mobilità e la logistica, gli enti pubblici alleati con le imprese
Il Centro Studi Cna questa dorsale che mantiene in vita il Paese l’ha raccontata con i numeri: sono 4 milioni e 267 mila le imprese con meno di 50 addetti che si contano nel nostro Paese. Rappresentano il 99,4% dell’intera struttura produttiva italiana. Cosiddette “piccole” che costituiscono non solo numericamente il tratto fondamentale del tessuto produttivo nazionale ma vi contribuiscono in modo considerevole impiegando oltre il 66% degli occupati (quasi 11 milioni di lavoratori) e creando il 50.4% del valore aggiunto nazionale. Di queste, un milione e 72 mila hanno carattere artigiano, quella “foresta artigiana” che fa del bene non solo a sé stessa ma a tutto l’ecosistema del mondo produttivo, con oltre due milioni e mezzo di lavoratori.
Numeri sufficienti per considerare forse riduttiva la metafora “partito del Pil” che, da qualche tempo, ha tanto successo nell’opinione pubblica. Naturalmente queste imprese fanno prodotto interno lordo. Per dirla banalmente: sono le gambe su cui cammina il Paese. Allo stesso tempo, però, mettono in campo valore sociale e – ognuna a suo modo – qualità, competenze, saperi, appartenenza, identità, creatività, innovazione. Senza, il made in Italy non esisterebbe.
In questi mesi l’abbiamo detto con chiarezza indiscutibile. Il Paese ha bisogno non di misure assistenziali ma di immaginare la leva delle risorse pubbliche al servizio della competitività del sistema-paese. Rilancio degli investimenti e realizzazione delle infrastrutture strategiche devono essere le parole d’ordine da nord a sud. Sapendo che, nel Mezzogiorno, infrastrutture, logistica, qualità della mobilità sono tre volte necessarie. E che senza un’alleanza virtuosa e forte tra sud e nord del Paese l’intero sistema-italia è meno competitivo. L’altro giorno il Censis ha restituito l’immagine di un Paese abbandonato a se stesso, «pieno di rancore e incerto nel programmare il futuro», dove ogni individualità rischia di essere una solitudine, una moltitudine di «io» prigionieri in una matassa di cui hanno perso il bandolo. Ogni giorno chi entra in un’azienda, se quell’impresa ha fatto della qualità, del lavoro, della competenza, le sue ragioni vitali, sperimenta sulla propria pelle l’esatto contrario: il valore delle relazioni come fattore strategico. Bisogna proprio scendere in piazza per ricordarlo? Sarebbe come dire che siamo già fuori tempo massimo.
Vice presidente nazionale Cna e Osservatorio banche-imprese