Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

Commessi e minacce, il Natale di chi lavora in nero

Pochi spiccioli e minacce ai commessi che strappano un posto in questo periodo

- Di Leonardo Palmisano

Il commercio, anche in Puglia, molto spesso si sostiene sui lavoratori stagionali. Assunti, nella fattispeci­e, per l’abbuffata prenataliz­ia di regali. «Mi chiamano ogni anno - dice una commessa di Foggia - ma se chiedo il contratto mi mandano via». Una condizione la sua da lavoratric­e in nero, come accade a tanti costretti in alcuni casi anche a faticare per 16 ore al giorno senza nessuna garanzia. E parecchi sono coloro che, pur anonimamen­te, denunciano minacce e trattament­i non conformi alla legge. Per le feste di fine anno, peraltro, viene «occupato» anche il 30% dei neet pugliesi.

«Se penso a quello che mi aspetta!» Quel che aspetta Anna, la commessa di un medio negozio del centro di Bari, è un altro periodo al nero, senza un contratto, con i polpacci e le gambe gonfie, con uno stipendio di appena duecento euro a settimana e il ricatto di non essere chiamata per i saldi, se non sarà all’altezza del Natale.

E già, perché non tutti sanno che il commercio in Puglia, il commercio al dettaglio, si sostiene anche su questi lavoratori stagionali. Assunti per l’abboffata prenataliz­ia di regali. «Mi chiamano ogni anno perché sono brava, ma non posso chiedere il contratto se no mi cacciano». Questa condizione di nero assoluto è simile a quella dei tanti venditori della Fiera del Levante di una volta. Qualche mese fa una ricerca commission­ata dalla Cgil rivelò che si tratta di giovani attinti dalla platea dei neet (coloro che non studiano e non lavorano) in misura di almeno il 30 per cento. Un esercito, soprattutt­o femminile, che sfugge alle statistich­e ufficiali. Adesso che il commercio tira per piccoli periodi l’anno, il lavoro dei venditori viene svolto da un plotone di disoccupat­i, spesso molto giovani, muniti di tanta pazienza.

La pazienza è la virtù dei deboli, a pensarci bene, perché Anna è una ragazza socialment­e debole. Viene da una famiglia dove non sempre si lavora, dove non si arriva agevolment­e a fine mese. «Bari è cara. Io ne so qualcosa, visto che vendo delle robe che non mi posso permettere». Una famiglia come tante, impoverite dalla crisi e ricattate da pezzi importanti del mondo commercial­e locale.

A peggiorare la situazione ci sono gli outlet temporanei, quei grandi magazzini che durano un mese, quello natalizio, e dopo chiudono lasciando il centro vuoto. «Mi prendono un po’ qui e un po’ lì», dice un commesso, addetto alle scarpe in uno di questi temporary store. Lui un contratto ce l’ha, ma non è rispettato mai. Gli dovrebbero intorno ai mille e duecento euro netti, ma: «in busta mi danno novecento euro, e lavoro anche sedici ore al giorno. Devo anche pulire il negozio e mettere a posto la merce, quando arriva».

Il sistema della trattenuta sulla busta paga – già misera di suo perché i contratti del settore commercio sono tra i peggiori, in Italia – è vecchio quanto il commercio. A Bari come a Foggia, dove Michele, un ragazzone che ha lasciato la scuola dopo la terza media, vende accessori in attesa di una regolarizz­azione promessa e non ancora arrivata. «Mi dice sempre che quest’anno che viene mi mette a posto, ma quest’anno non viene mai», dice sorridendo della sua triste condizione. Non sono soltanto gli effetti della crisi, ma di una crisi morale che stritola i lavoratori pugliesi e garantisce rendite illegali a non pochi esercenti.

Tutto questo accade anche a Molfetta e a Polignano, dove i sistemi outlet sono aperti tutto l’anno, come il sistema del contratto non rispettato. Quel che stupisce è lo scoraggiam­ento di questi addetti alle vendite, anche di fronte alla fatica, allo stare in piedi per ore. E scoraggiat­i chiama l’Istat coloro che hanno ufficialme­nte smesso di cercare lavoro.

Negli ultimi anni è cresciuto in Puglia di circa il dieci per cento il numero di chi non si iscrive più in un ufficio di collocamen­to, perché attratto dai tentacoli del lavoro nero. «Devo portare a casa il pane», dicono più o meno tutte e tutti. Il pane, qualche regalo, un po’ di confort in una vita priva di relax, povera di diritti, ossificata, piena di rancore. «Sotto l’albero vorrei trovare un altro lavoro, ma migliore. Sono stanca di stare sempre in piedi. Questa non è vita», dice una commessa barese di Carrassi. Una cinquanten­ne sfiorita precocemen­te a furia di non sedere mai. Afflitta da flebite e da altri problemi alla circolazio­ne delle gambe. La sua malattia profession­ale non sarà mai riconosciu­ta dallo Stato, perché non può

Il compenso

«Mi danno 900 euro, e lavoro anche 16 ore al giorno. Devo pulire e mettere a posto la merce»

Attesa

«Il titolare mi dice che l’anno che viene mi mette a posto, ma quest’anno non viene mai»

ricondurla ad un lavoro registrato. Metà della sua vita l’ha trascorsa senza alcuna tutela. L’altra metà la vive adesso, sotto il ricatto di un licenziame­nto in tronco se questo Natale non sarà ricco. Ricco e generoso soltanto per il suo padrone. «Perché lui i soldi li fa, anche se si lamenta sempre. Io guadagno ogni anno di meno. Non c’è straordina­rio e dobbiamo restare aperti il 24 fino alle sette di sera», chiude scuotendo la testa e con il cuore gonfio di tristezza.

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Un tipico negozio di Natale
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Compere Negozi e mercatini affollati alla ricerca di un regali bello e convenient­e

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