Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
I Sassi, da «vergogna» a patrimonio di tutti
Matera rappresenta la rivincita del mondo contadino sulle avversità del passato povero Più che della cultura, la città è la capitale della resilienza con il suo adattarsi al cambiamento
Carlos Solito, scrittore, fotografo e regista, racconta al Corriere Matera, vista dai suoi occhi. E lo fa in occasione dell’arrivo in libreria del suo romanzo La ballata dei Sassi edito da Sperling & Kupfer che sarà presentato stasera a Matera, a Palazzo Lanfranchi
Ogni luogo ha un perché, a cominciare dalla sua materia. Matera è pietra, tufo calcarenite calcare, messa in cottura in milioni e milioni di anni, dall’era Mesozòica a quella Neozòica, che hanno sfornato un grande banco di rocce sedimentarie nelle quali, preistoria e storia, hanno scolpito segni stupefacenti tanto quanto la geologia.
Mezzo secolo fa quando i Sassi furono guardati con sdegno dall’Italia intera, e non solo, nessuno avrebbe mai immaginato che quella «vergogna nazionale», umida miserabile ingannevole, sarebbe diventata, invece, un orgoglio arcaico. Proprio così, Matera oggi è un vanto per l’Italia, il Mezzogiorno, la Basilicata. È un vanto per il Mediterraneo, nel cuore del Mediterraneo, perché quella che un tempo era una bottega rupestre scavata a colpi di bisogno oggi è diventata un sogno.
La rivincita del mondo contadino sul cambiamento e le avversità di un passato povero, fanno di Matera la capitale della resilienza prim’ancora che la capitale europea della cultura. Il racconto di questi anni, da Patrimonio Unesco a costante set cinematografico internazionale fino alla produzione culturale diffusa orizzontale di tutti, ha liberato la città dal peso della sofferenza generando una reazione di emozioni positive che hanno permesso agli abitanti di focalizzarsi sui preziosi possedimenti di bellezza, vertigini, semplicità, piuttosto su ciò che è mancato. E proprio questi fattori protettivi, condivisi, partecipati, conditi di ottimismo, autostima e la cosiddetta «robustezza psicologica» o hardiness, hanno fatto dei materani una società resiliente.
La città dei Sassi, quest’opera ingegnosa come un rompicapo di Escher, trova quindi il suo filone aurifero proprio nella sua semplicissima materia: la pietra. Cavata con tenacia, ossessione geometrica, paradosso visivo, senso di vuoto e grazia indiscutibili.
Al tempo dell’affanno, appena posso torno a Matera per ritornare all’altro tempo, quello dolce che sta nell’entroterra di ogni co- sa. Quello prima del volo di una gazza ladra, prima di ogni battito di cuore, prima di ogni respiro, prima della fine. Quello lento lento, delle erbe messe a macerare nell’alcool per la preparazione del rosolio, quello che mette corpo all’Aglianico, che fa crema e fa scuro il sugo, salato il caprino, secco il peperone crusco, quello della forza dolce del timbro che affonda nel pane molle prima di cuocere nel forno a legna. Quello che benedice l’equilibrio del vuoto e del tufo geometrico, i cerchi e le linee, i racconti bizantini affrescati nelle caverne, la dolcezza di questa grande bottega rupestre dove un po’ se la sono spartita i villani, le bestie, i semplici, i veri, i profeti della bellezza. Insomma, tutti quelli che hanno messo, tolto e deciso, a loro insaputa, secolo dopo secolo, la creazione di questo giardino che per un po’ si è creduto fosse un posto arretrato, in realtà è un posto che si è goduto il sonno di un lungo letargo.
Respiro lento, cuore lento, tanti bei sogni, corpo invecchiato bene. Frontiera di un’Italia a margine, per qualcuno minore, lontana, scomoda da raggiungere, dove la dimensione onirica della frontiera è fascino di rocce puntute e buio grasso di sorprese, campane e rapaci, barocco e romanico, acqua e sapone, segni di croci e pane fatto in casa, a forma di corno, che se ne va la luce.
La stessa luce che ogni giorno prende e svela la mandria delle vertigini che rubano il respiro e dentro le quali metto i piedi a mollo per godermi l’altro tempo, quello di Matera, quello geologico della pietra. Antico che arriva ma non passa.