Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
COSÌ LA MUSICA È CAMBIATA
Diodato, Alessandra Amoroso, Michele Riondino, Pio & Amedeo, Bungaro, Alessandro Quarta, oltre naturalmente ai Boomdabash (gli unici in gara), per tacere di chi come Ermal Meta a Bari ci è arrivato bambino dall’Albania e ci è cresciuto, diventandoci italiano e musicista; e di chi invece, come il siciliano Roy Paci, a un certo punto della sua vita ha scelto il Salento come terra in cui vivere e fare musica. La lista dei pugliesi a Sanremo (e ci scusiamo per le inevitabili, involontarie omissioni) è come ogni anno nutrita, a patto di non fermarsi all’elenco ufficiale dei partecipanti al festival. La Puglia a Sanremo è ovunque, la vedi passare sul palcoscenico dell’Ariston e non ci fai più caso. Perché quello che fino a non molti anni fa era un fatto abbastanza eccezionale e come tale meritevole di attenzione è diventato normale, scontato. Quella specie di mutazione genetica che nel nuovo secolo ha fatto dei pugliesi un popolo di scrittori, pop star, comici, attori e registi, produce ancora frutti abbondanti. La normalità della Puglia oggi è questa: da regione un tempo periferica e fuori dalla luce dei riflettori, attraverso fenomeni di costume (dal boom della taranta all’elezione di Vendola, un governatore gay e comunista nel Sud Italia, come se fossimo a Berlino) e trasformazioni politicamente guidate (gli investimenti nell’immateriale e nella cultura di Vendola, ancora lui, oggi proseguiti da Emiliano) è entrata a vele spiegate nell’immaginario nazionale e non solo, trasformandosi a sua volta in produttrice d’immaginario e rappresentante di un «modello» tanto felice quanto, forse, illusorio. Perché pur sempre dotato di un rovescio pesante fatto di disoccupazione, morti sul lavoro, povertà, schiavitù nelle campagne, criminalità, inquinamento ambientale (caso Taranto, per tacere di Brindisi). Ma talmente scintillante da rendere luoghi e paesaggi, la dolce vita del cibo e del vino e il richiamo della cultura qualcosa capace di attirare l’attenzione di turisti del mondo ricco, giapponesi, americani, europei d’ogni latitudine. Per il New York Times siamo, oggi più che mai, una meta turistica privilegiata. In piena bagarre mediatica sugli incidenti politici tra Roma e Parigi, un giornalista di Le Monde può scrivere tranquillamente «tanto noi continueremo a mangiare burrate (a Parigi il must degli ultimi anni, ndr.) e ad affittare case per le vacanze in Puglia», e un musicista americano tra i più intelligenti e indipendenti del mondo come Zach Condon, in arte Beirut, può intitolare il suo ultimo album Gallipoli. E intende proprio il Salento, non la Turchia come un film omonimo del 1981, un’altra epoca. Prima della «grande trasformazione».