Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
I tre pericoli dell’autonomia rafforzata
Gettito fiscale, tempi e commissioni: il rischio è l’impoverimento
Ora che si avvicina il 15 febbraio, la questione ha risvegliato l’interesse che merita. Venerdì prossimo, salvo rinvii, saranno firmate le Intese tra il governo e le tre Regioni che hanno chiesto maggiori competenze: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. Si tratta della cosiddetta «autonomia rafforzata» che consente alle Regioni di poter esercitare maggiori funzioni rispetto alla attuale configurazione: lo Stato trasferisce verso la periferia le competenze e le risorse necessarie. Le modalità operative e le circostanze politiche che stanno caratterizzando questa complessa e inedita operazione istituzionale, hanno indotto varie personalità a lanciare l’allarme. Tra queste spicca la tenacia dell’economista Gianfranco Viesti, che ne va parlando da tempo (ieri sera un convegno a Bari) e che nelle ultime settimane ha pubblicato un libro dal titolo eloquente: «Verso la secessione dei ricchi?» (il testo è scaricabile gratuitamente dal sito della casa editrice Laterza).
In sintesi: la Costituzione (con la riforma del 2001) consente alle Regioni a statuto ordinario di assumere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia». Concetto che vale per 23 materie: venti «concorrenti» (cioè gestite oggi in condominio tra Stato e Regioni); tre «statali». Le Regioni interessate si attivano, poi si stipulano le intese, quindi si approva una legge in Parlamento.
Anche la Puglia, alla pari di molte altre Regioni italiane, ha approvato una delibera per avviare il percorso. Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna hanno già stipulato un anno fa (governo Gentiloni) le pre-intese. Al momento solo per 5 delle 23 materie: istruzione, salute, politiche del lavoro, tutela dell’ambiente, rapporti internazionali e con l’Ue. Si prevede una durata decennale dell’intesa e la possibilità di modifica preventiva solo con l’accordo reciproco tra Stato e Regione.
Per quanto attiene alle risorse, si stabilisce che esse andranno determinate da un’apdel posita commissione paritetica Stato-Regione, sulla base dei «fabbisogni standard». Ossia parametri che, entro 5 anni dall’intesa, diventeranno il “termine di riferimento”, da raggiungersi in relazione alla popolazione residente e – attenzione qui – al gettito dei tributi versati nel territorio regionale. Viesti denuncia tre «criticità principali»: 1) il «collegamento del finanziamento al gettito fiscale regionale», sicché maggiori finanziamenti
Venerdì
Il governo firmerà gli accordi con Veneto, Emilia e Lombardia La Regione vorrebbe accodarsi
Gianfranco Viesti Le risorse non sono illimitate Significa spostarle da una parte all’altra
andranno dove si versano più tasse, verso i territori ricchi; 2) la determinazione del parametro «da parte di una commissione paritetica», sicché nessuno ci mette becco se non la medesima Regione e i delegati del governo, anche se questo incide sulle finanze statali; 3) la «impossibilità per parlamento e governo di rivederne i termini senza l’assenso della Regione, per dieci anni».
Nel dibattito, come si ricorderà, tiene banco la questione cosiddetto “residuo fiscale”: la differenza tra quanto si versa in termini di tributi in un determinato territorio e quanto lo Stato spende in quello stesso territorio. Il Veneto, spiega Viesti, chiede la maggior quota possibile di residuo fiscale. Ha calcolato che, per assolvere alle maggiori funzioni, gli siano necessari i 9/10 dei tributi versati sul proprio territorio; un ragionamento analogo svolge la Lombardia (ma non così l’Emilia Romagna). Con risorse pubbliche nazionali definite e non illimitate, spiega Viesti, significa spostare una quota di risorse da una parte all’altro del Paese. In questo caso, dalla parte povera a quella ricca.
Nove consiglieri regionali di maggioranza (Amati, Blasi, Cera, Colonna, Longo, Mazzarano, Mennea, Pendinelli, Pentassuglia) hanno presentato un documento con cui manifestano il loro dissenso dal progetto. Vogliono che si voti in Consiglio: per prima cosa dovranno convincere Michele Emiliano, ammaliato anch’egli dall’idea di chiedere più poteri. E consentire ad altri di farlo.