Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La rabbia di Marcone «Una città che non sa ribellarsi»
Daniela Marcone, foggiana, è vicepresidente nazionale di Libera. Spiega: «Non pensavo che al corteo la mobilitazione fosse così debole. È un problema culturale. Chi non è colpito se ne resta a casa, Foggia vive ancora di compartimenti stagni. Ma la lotta alla mafia è un problema di tutti, non solo di chi ha subito gli attentati».
Daniela Marcone, foggiana, figlia del dirigente dell’Ufficio Registri di Foggia ucciso in un agguato con due colpi di pistola il 31 marzo del 1995, è vicepresidente di Libera, l’associazione presieduta da don Luigi Ciotti che ha l’intento di sollecitare la società civile nella lotta alla criminalità organizzata. Va dritto al punto: «Il 21 marzo dello scorso anno alla manifestazione di Libera in piazza scesero con noi 40 mila persone. Impiegammo otto mesi per organizzarla. Sapere che al corteo antiracket di oggi (ieri, ndr) abbiano partecipato poche centinaia di persone, mi fa riflettere. Foggia è una città che risponde lentamente, ma pensavo dopo il 21 marzo - ci fosse più mobilitazione. Bisognerà lavorare su questo».
Come se lo spiega? Perché i foggiani non rispondono?
«Faccio fatica a credere che siano indifferenti. Penso che occorra un cambiamento culturale perché la città vive ancora di compartimenti stagni».
Cosa vuole dire?
«Negli ultimi tempi a Foggia sono avvenuti attentati dinamitardi contro commercianti e imprenditori. Il ragionamento è chiaro: “Non è toccato a me, perché farmi coinvolgere?”. Invece le bombe
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riguardano tutti perché, senza augurarci che ci possa scappare la vittima innocente, un giorno potrebbe toccare anche a chi vive con distacco questa emergenza».
La gente ha paura... «Bisogna rimboccarsi le maniche. Il coordinamento provinciale di Libera sta per organizzare un’assemblea pubblica per confrontarsi con cittadini, lavoratori, studenti. Quando organizzammo la manifestazione del 21 marzo scorso, preparammo la città con centinaia di incontri nelle scuole, tra i giovani e la gente comune. In quel periodo riscontrammo un aumento della sensibilità, ecco perché al corteo antiracket di oggi (ieri, ndr) ci si sarebbe aspettato più gente».
Cosa bisogna fare per scuotere i foggiani?
«C’è bisogno di raccontare quello che sta avvenendo a Foggia, un po’ come sta già facendo il procuratore capo della Repubblica, Ludovico Vaccaro. Non aspettiamo che ci scappi il morto per prendere consapevolezza che a Foggia l’emergenza criminalità riguarda tutti i cittadini e non solo commercianti e imprenditori».
La mafia risponde con le bombe anche allo Stato?
«Risponde ai blitz delle forze dell’ordine che sgominano i gruppi malavitosi. Non dimentichiamoci però che per anni su Foggia è calata la cappa del silenzio. Ma oggi si può e si deve cambiare».
In città si ragiona ancora con il “non è toccato a me”
Si sbagliano perché la lotta al crimine riguarda davvero tutti