Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Una volta si viaggiava in treno per salire sull’ascensore (sociale)
Oggi invece i giovani prendono l’aereo e vanno in altri paesi europei o oltre oceano
Imilioni di emigranti meridionali che negli anni ’50 e ’60, spinti dalla fame e dalla speranza, andavano verso le regioni del nord industriale per costruire un futuro migliore per sé ed i propri figli avevano a disposizione un treno ed un ascensore. I treni erano quelli con le cosiddette «carrozze in servizio diretto», povere ed essenziali e con lo sconto per famiglie numerose, adatte ai nostri affamati viaggiatori ed ai loro figli. I nomi dei convogli erano altisonanti: il Treno del sole, che in ventitré ore attraversava l’Italia, dalla Sicilia al Piemonte, o il direttissimo notturno Freccia del sud che con lo stesso tempo collegava Palermo a Milano. Sul versante adriatico c’era per i pugliesi diretti a Milano l’Espresso del Levante. Ed ancora, nello stesso periodo, con uguale carico di rabbia e di speranza andavano dal sud al nord il Treno dell’Etna e il Conca d’oro. Con loro viaggiavano gli artefici del miracolo economico italiano ed i protagonisti dei tanti straordinari film sull’emigrazione interna: da Rocco e i suoi fratelli di Visconti a Da Trevico a Torino di Scola.
Per i nuovi arrivati furono anni difficili per il lavoro duro, per la povertà, per le difficoltà abitative e, non ultimo, per l’ostilità da parte di molti, soprattutto a Torino. Qui apparvero i cartelli in cui si avvertiva che non si fittava a meridionali. Stringendo i denti e guardandosi all’indietro, i meridionali immigrati andarono avanti e tutti quelli che potevano presero a volo l’ascensore che allora apriva le porte. Era la scuola che, riformata nel ’62 con l’estensione dell’obbligo e la media unificata, si presentava come l’ascensore sociale per milioni di italiani. La scuola, dalle superiori all’università, era il vero ed insostituibile veicolo della mobilità sociale verticale. I medici, gli ingegneri, i docenti, i dirigenti che con cognomi meridionali operano con successo in Piemonte, Lombardia, Emilia o Toscana sono molto spesso i figli degli emigranti, dei viaggiatori del Treno del sole o dell’Espresso del Levante. L’ascensore della scuola ha permesso di mettere a frutto le loro capacità personali e di salire su per la scala sociale. L’ascensore ha completato il viaggio della speranza del contadino del tavoliere o del Salento compensandone i mille sacrifici.
Oggi, molti continuano a partire e treni che vanno verso il nord ce ne sono tanti, anche se i nomi sono meno accattivanti rispetto al passato: tutti sono battezzati frecce. Quelle rosse sono le più veloci ma sono poco presenti nel mezzogiorno, qui dominano l’argento e il bianco. Il problema vero è che quello che è bloccato è l’ascensore della mobilità sociale. La scuola è sempre meno un veicolo di avanzamento sociale, forse perché la sua qualità è diminuita, forse perché ciò che insegna è poco utile al mondo del lavoro, forse perché sono gli stessi studenti
a non credere più all’utilità della propria esperienza sui banchi.
Dove il problema è macroscopico è soprattutto nell’università che è da anni in profonda crisi. Mancano i docenti, le scuole di specializzazione chiudono, le biblioteche non hanno il denaro per aggiornarsi. Non manca in compenso la fantasia per inventare nomi nuovi ed accattivanti per corsi e master che spesso servono poco o nulla. Al più ci si accontenta di un titolo, come mostra la fioritura di decine di università private per corrispondenza che spesso conferiscono lauree inutili ma a prezzo di saldo. In crisi più delle altre sono le università del mezzogiorno che, dopo aver tentato colpevolmente di decentrare tutto il possibile, allettate anche da qualche misero contributo locale, si trovano oggi con il fiato corto. Povere di docenti e di punti organico, sono sempre più distaccate dagli atenei storici del centro nord che, peraltro, hanno perso molto dell’antico splendore.
Si è rimesso così in moto il cammino della speranza che vede molti ragazzi meridionali partire verso il nord dopo aver finito il triennio del primo ciclo di studi universitari. Essi sperano che un qualche ascensore sociale funzioni ancora nelle grandi università del centro nord e che, quindi, frequentare lì il secondo ciclo possa servire. Spesso, però, anche a Milano, Bologna o Torino l’ascensore funziona solo ad intermittenza. I nostri ragazzi – tra i migliori – prendono allora un aereo e vanno in altri paesi europei o oltre oceano per tentare la scalata sociale che sognano ed a cui hanno diritto. Treno-ascensore-aereo: il ciclo si chiude.