Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Don Pantaleo e «La scatola di cuoio» La fatica letteraria di Spinelli ambientata nella Basilicata dei vizi
«Sono sempre stati personaggi e storie a incuriosirmi. Lì c’è la scintilla dei miei libri»
Giovedì prossimo sarà in libreria il nuovo libro di Gianni Spinelli, La scatola di cuoio (Fazi Editore), un romanzo atteso con molto interesse, «un’insolita favola nera». Abbiamo intervistato l’autore per cogliere in anteprima la genesi e i “misteri” del suo testo.
Dalla fantapolitica di “Andiamo al Cremlino” ad una favola noir ambientata in un paesino sperduto della Basilicata. Da un genere in fondo ironico e divertito, con il calcio co-protagonista, come si passa ad una narrativa più “tradizionale” e – se vogliamo – più nobile?
«Il percorso non è stato lungo e travagliato perché anche qui è dominante la satira di costume per una riflessione profonda in forma di commedia. Lì l’obiettivo era puntato sui politici nazionali, nella Scatola invece viene fotografato uno spaccato di provincia che parte dalla fine degli anni Cinquanta. Un mondo in cui sono entrato più facilmente, avendo da sempre il tic professionale di cercare personaggi estremi e di raccontarli, vedi ad esempio il signore specializzato nel curare la depressione delle pecore. Ovviamente, nel mio romanzo non ci sono queste amenità, ma spesso affiora il grottesco pur in una trama che parla di avidità e dei sette vizi capitali. Il mio modo di narrare, se vogliamo, è rimasto lo stesso. Sì, forse il “più nobile” ci sta. Ma viene naturale quando le tematiche cambiano e l’approccio con i protagonisti è più forte, più sentito, più emozionante».
Chi è don Pantaleo, il protagonista de “La scatola di cuoio”?
«È un frate maledetto dal diavolo più che benedetto dal Signore. Un frate che mette su una notevole ricchezza in maniera poco chiara. In più, nella sua casa-convento, avvengono cose strane. Un giorno viene ritrovato morto e non vado oltre. È protagonista nel senso che da lui parte tutta la storia piena di colpi di scena. Perché un frate? Perché non tutti i frati sono santi, come non tutti gli uomini sono buoni».
Uomini, donne e i bassi sentimenti sono il fil rouge del suo romanzo. Forse perché il Sud, con il suo isolamento, negli anni in cui è ambientato il romanzo, era più cupo, più incline ad inseguire il miraggio della roba?
«Il Sud era pieno di contraddizioni, e lo è anche ora, seppure in maniera ridotta. C’erano i ricchi-ricchi e i poveri-poveri. C’erano magie e credenze popolari, c’erano sudditanze. E l’eredità era attesa, cercata con ogni mezzo, contesa. Ho rivisitato queste atmosfere, scavando nell’indole degli aspiranti eredi, in guerra».
Qual è stata la scintilla che ha acceso questo suo nuovo lavoro?
«Un incontro casuale con un tipo strano. Mi disse di un aggeggio ricevuto alla morte di una zia acquisita, soltanto una scatola di cuoio con dentro qualcosa. Parlava e sorrideva. Era felice, lontano da interessi materiali. Questo erede atipico è rimasto nella mia memoria: nel frattempo ho scritto altri quattro libri, ma lui era sempre un punto fermo, a sollecitare la mia voglia di scrivere: una scatola piena di misteri».
Perché, invece che in un paese della “sua” Puglia, ha scelto di ambientare il romanzo in Basilicata?
«I paesi lucani sono come in un limbo, pieni di fascino oscuro, di silenzi, di ombre, anche di fantasmi: la Scatola non poteva che stare in quella location, surreale, dove tutto esiste e non esiste».
Quali segreti si nascondono ne “La scatola di cuoio”?
«Nella scatola chiusa i segreti sono tantissimi. C’è la vita, ci sono tante vite. È lei la vera beffarda protagonista del mio romanzo».
Dopo anni di articoli scritti per i giornali, a fare cronaca (all’inizio sportiva), da dove nasce la vena narrativa che la contraddistingue e che l’ha portata ora ad ottenere la pubblicazione da una casa editrice che punta sulla qualità qual è Fazi?
«Anche quando ho scritto di calcio, mio primo amore, non ho mai inseguito il pallonepallone. Bensì storie, la varia umanità di questo sport: un solo spettatore in campo proprio in una partita lucana o il portiere con due dita in meno, l’unico al mondo che poteva fare il segno del cornuto all’arbitro senza essere espulso. Sono cresciuto cercando con la lanterna di Diogene, leggendo molto: Dostoevskij, Dickens, Buzzati, Calvino, Berto, Fenoglio, Simenon, Tobino, Pasolini, Ernesto De Martino, Magris, Brera».
Sta già lavorando a un prossimo romanzo?
«Beh… Sì… Sono al sesto capitolo. Se non scrivo, vado in crisi di astinenza».