Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
IL CALICE AMARO DELLA CAPITANATA
Aprite i rubinetti, altrimenti ci pensiamo noi. C’è un simbolismo tragico nel sabotaggio delle cantine di San Severo e Torremaggiore, una metafora che va oltre l’enorme danno causato. Quel mosto non diventerà mai vino, nessuno potrà berlo, tutti però hanno visto cosa può succedere.
Alla fine degli anni Ottanta, lungo la frontiera tra Italia e Francia, quasi ogni settimana andava in scena la guerriglia delle autobotti: a Mentone produttori vinicoli francesi sabotavano colleghi italiani, che a loro volta ricambiavano il cerimoniale dell’accoglienza a Ventimiglia. Sulle strade prossime al confine scorrevano fiumi di vino, anni di paziente attesa e liturgica distillazione venivano sversati nelle campagne con un sadismo pari solo alla follia del gesto. Poi è arrivato Maastricht, con buona pace di chi (ancora oggi) crede che il trattato non serva a niente. Chi ha assistito a quel massacro, racconta che si trattava di una specie di faida religiosa tra integralismi inconciliabili, macismo mascherato dalla necessità di proteggere le rispettive produzioni nazionali. Quelle di San Severo e Torremaggiore, invece, sono molto più che una follia, innanzitutto un oltraggio, un brutale sfregio alla natura che tutto sa, vede e soprattutto ricorda.
Aprite i rubinetti, altrimenti lo facciamo noi. Da queste parti piove raramente, sarà per questo che l’acqua stagnante nelle cunette delle strade sembra sempre una sciagura, un conto in sospeso col clima fin troppo clemente. Figurarsi il vino, il suo significato biblico, la sua funzione assolutrice. Per questo il sabotaggio dei giorni scorsi è molto più che un avvertimento, ma un’emorragia. Equivale all’abbandono di qualsiasi timore, al congedo da ogni remora, recide le inibizioni legate al rispetto della terra e dei suoi frutti. Qui la campagna è sempre stata un sagrato, territorio improfanabile, specie se lasciata libera di esprimere ciò che sa fare meglio: grano, pomodori e vino. Lasciare che il riassunto di queste vigne scivolasse nelle campagne, aprire i bocchettoni dei silos che ne custodivano ambizioni e tradizioni, non è solo una minaccia mafiosa ma una dichiarazione di ostilità verso noi stessi. Come se il sangue per strada, la delinquenza in ogni angolo e la violenza in ogni sua espressione non bastassero più, e il messaggio dovesse essere elevato a un’eucarestia. Prendete e bevetene tutti, questo è il calice amaro della Capitanata.