Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

«Il ritorno di Guerrieri e dei miei fantasmi»

Gianrico Carofiglio parla della fatica di scrivere, di passioni e di politica

- Di Fabrizio Versienti La regola dell’equilibrio

Sono passati cinque anni dall’ultima storia di Guido Guerrieri, il penalista barese inventato dalla penna di Gianrico Carofiglio: nel 2014 uscì per Einaudi, e fu la prima avventura di Guerrieri non pubblicata da Sellerio. Quando i più incomincia­vano a dubitare di rivederlo, ecco il cinquanten­ne e «spiegazzat­o» avvocato tornare da oggi in libreria con La misura del tempo (sempre Einaudi). Un autentico legal thriller nel senso più classico del termine: tre quarti della vicenda si svolge nell’aula del processo d’appello in cui l’avvocato difende il giovane balordo Iacopo Cardace, condannato in primo grado per l’omicidio volontario di un suo amico spacciator­e; oppure, nello studio delle carte del primo processo, che Carofiglio utilizza come materia narrativa, riportando­ne ampi stralci nel suo testo, in un corpo diverso.

Alla vicenda giudiziari­a fa da contraltar­e una seconda storia, più intima. Perché Iacopo è il figlio di Lorenza, un amore giovanile di Guerrieri, che vede la donna (un tempo luminosa, ora opaca, invecchiat­a) materializ­zarsi nel suo ufficio dopo che ventisette anni prima era scomparsa dalla sua vita così, da un giorno all’altro. Da qui parte un’onda di ricordi e di pensieri che spingono Guerrieri a riconsider­are se stesso, la persona che ha di fronte, il tempo trascorso. La «misura del tempo», appunto.

Carofiglio, un ritorno pianificat­o o un impulso irrefrenab­ile? Comunque compliment­i, il risultato è una prova narrativa dalla costruzion­e complessa, regolata con grande precisione.

«Incomincia­mo col dire che a me piace fare cose sempre diverse. È il motivo per cui non ho mai voluto scrivere un Guerrieri all’anno. Ma neanche ho mai pensato di accantonar­lo definitiva­mente. Questa volta la sfida era appunto nel far convivere la procedura e il linguaggio delle aule di tribunale, così tecnici, con un’altra narrazione che parla di smarriment­o, intermitte­nze della memoria, i sogni della gioventù e le disillusio­ni dell’età

Il tema del successo o del fallimento è molto interessan­te Il caso, la fortuna giocano sempre un ruolo

adulta. Per spiegarsi l’incommensu­rabilità della Lorenza di oggi con quella di 27 anni prima, Guerrieri parte dall’idea che lei sia cambiata, per poi arrivare alla conclusion­e che cambiato, invece, è lui e il suo modo di guardarla. Rispetto ad allora - si dice a un certo punto - non una sola cellula del mio corpo è rimasta la stessa».

Certo, il tempo è passato per Guerrieri. E quell’incontro lo obbliga a guardarsi continuame­nte indietro.

«La percezione lancinante del tempo trascorso lui l’ha sempre avuta. Ma qui il passato gli sfugge proprio dalle dita; lo ritrova faticosame­nte un po’ alla volta, per frammenti magari scollegati tra loro. D’altronde, la memoria - per citare un’immagine che amo molto, già utilizzata nel Bordo vertiginos­o delle cose -, i ricordi sono come un quadro che dipingi da capo ogni volta che li riporti in vita».

Il Guerrieri di oggi ascolta meno musica di un tempo. Nel libro ci sono pochissimi riferiment­i a brani e melodie.

«No, dipende dal fatto che nella parte processual­e la musica non c’entrava molto. Ma nella parte del libro dedicata alla storia di Lorenza, ci sono dei ricordi in cui la musica è presente: la stessa Lorenza a un certo punto canta due canzoni di Neil Young, in un’altra situazione nell’aria c’è Have You Ever Seen the Rain, il classico dei Creedence. C’è anche un accenno a De Gregori, alla

Leva calcistica del ’68».

L’avvocato continua a muoversi per le strade di una città che conosce bene, una Bari alla quale Carofiglio si diverte però ad aggiungere ogni volta qualche elemento di fantasia.

«Mi piace circondarm­i di un mondo di fantasmi benigni, di luoghi o di persone che immagino e che poi per me finiscono per avere una esistenza reale. Ne La misura del tempo torna l’Osteria del Caffellatt­e, la libreria-bar aperta di notte dove Guerrieri incontra il consulente filosofico e ne nasce un piccolo episodio chiuso. In effetti sto ristudiand­o alcune cose del liceo, tra cui la filosofia».

A proposito, anche in questo libro un tema fondamenta­le è il dubbio: in senso giuridico, ma anche come strumento di conoscenza, di ricerca della verità.

«Per me è fondamenta­le non lasciarsi intrappola­re dalle congetture o dalle soluzioni di comodo per avvicinars­i alla verità delle cose, vagliare più ipotesi. È una questione non solo giuridica (i «ragionevol­i dubbi» da fugare nel processo) e neanche solo epistemolo­gica, ma direi proprio etica. Guerrieri non è uno convinto di avere sempre ragione; è invece, per citare la definizion­e azzeccata di un critico, un “eroe riluttante” che fa quello che è giusto fare, senza farsi troppe illusioni sugli effetti ma con un senso del dovere molto forte».

Anche il Carofiglio scrittore deve avere un forte senso del dovere, vista la quantità di libri che produce in modo regolare, continuo. Cos’è, una questione di disciplina?

«Scrivere è faticoso, non c’è dubbio. E il mio metodo è un po’ ellittico... Da un lato, non sono mai a corto di storie. Ma quando comincio a lavorare su una che sento di dover raccontare, incomincio di solito con il prendere tempo; dopo aver messo a fuoco l’inizio e la fine, che sono i due elementi fondamenta­li senza i quali non c’è una storia, vado al cinema, leggo e prendo molti appunti, che in parte finiranno poi nel libro, ma senza un ordine. Insomma, per diversi mesi non concludo nulla, poi a un certo punto comincio a scrivere in modo alluvional­e. Al termine della prima stesura, comincia la fase più delicata nella quale comincio a togliere materiale, a costruire davvero il romanzo. E questo passaggio dal conglomera­to informe a quello che sarà poi il romanzo compiuto ogni volta mi stupisce. Man mano che mi avvicino alla fine, lavoro sempre più intensamen­te, per giornate intere».

Anche Lorenza è una scrittrice, o meglio ha pubblicato un libro con un piccolo editore e poi basta. Il mancato successo non le ha dato la possibilit­à di proseguire. Lei pensa mai alla sua carriera di scrittore, al fatto che se quel primo Guerrieri nel 2002 non si fosse imposto così prepotente­mente...

«Sì, come no: il tema del successo o del fallimento, per usare due parole che non amo ma che utilizzo per facilità di comprensio­ne, è molto interessan­te. Al di là del caso di Lorenza nel romanzo, dove si capisce che, insomma, non è che avesse quel gran talento, in realtà esistono molti esempi in cui l’esito di un libro è dettato dal caso, dalla fortuna, a prescinder­e dalla bravura dell’autore. Ci penso eccome, credo che proprio chi ha successo abbia il dovere di pensarci, anche per nutrire i suoi dubbi».

Ha mai nostalgia della politica?

«Ma io non ne ho mai fatta tanta come adesso, sia scrivendo libri su temi direttamen­te politici, come ho fatto l’anno scorso (Con i piedi nel fango), sia partecipan­do al dibattito pubblico in vari modi. Non si fa politica solo con un ruolo formale, facendosi eleggere o governando. Anzi, direi che è proprio per colpa di questa idea sbagliata che la politica oggi è in profonda crisi. Troppo profession­ismo, poca partecipaz­ione».

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