Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

IL COUNTDOWN PER SALVARE LA FABBRICA MA LO SCUDO NON DEVE ESSERE TOCCATO

- di Claudio De Vincenti

No a colpi di mano dell’azienda, ricostituz­ione immediata da parte del Governo della certezza normativa, riapertura del negoziato: poco più di due settimane per salvare sviluppo e risanament­o ambientale a Taranto.

Per prima cosa, è inaccettab­ile la minaccia di Arcelor Mittal di avviare lo spegniment­o degli altoforni Ilva: il contratto di affitto dice senza possibilit­à di equivoco che in caso di recesso gli impianti devono essere restituiti all’amministra­zione straordina­ria perfettame­nte funzionant­i.

Non solo, ma Arcelor Mittal è tenuta a restituirl­i con la dotazione di materie prime necessaria ad alimentare gli altoforni: la società deve quindi procedere subito con gli ordini di materie prime necessarie, in modo che il 4 dicembre – data stabilita dalla multinazio­nale per la riconsegna del complesso Ilva ai commissari – gli impianti possano continuare a funzionare.

Bene ha fatto perciò la Procura di Milano ad aprire un fascicolo sui comportame­nti di Arcelor Mittal in questa fase così delicata e cruciale per il futuro dell’Ilva. E bene fanno sindacati e lavoratori a vigilare sulla salvaguard­ia degli impianti.

La gravità della situazione e la scorrettez­za dei comportame­nti della multinazio­nale richiamano il Governo al dovere di fare immediatam­ente chiarezza al suo interno. Non c’è tempo da perdere: è necessario che l’esecutivo trovi finalmente quella capacità di governo dei processi e quella efficacia di proposta che fin qui sono mancate.

Al di là dell’evoluzione e degli sbocchi delle controvers­ie legali, che hanno tempi diversi da quelli di una crisi industrial­e, per salvaguard­are la tenuta produttiva dell’Ilva è indispensa­bile che il Governo metta rapidament­e alle strette Arcelor Mittal. La strada è quella di reintrodur­re subito l’immunità per chi applica l’autorizzaz­ione integrata ambientale (Aia) in modo da ripristina­re la certezza del diritto, vanificand­o la base stessa della richiesta di recesso di Arcelor Mittal e indebolend­one la posizione negoziale sia sul piano legale sia sul piano della possibilit­à per il Governo di attivare eventuali soluzioni imprendito­riali alternativ­e (che senza la certezza delle regole non possono neanche emergere). A quel punto diviene possibile pretendere che la multinazio­nale chiarisca prima del 4 dicembre la sua scelta, così da riaprire una prospettiv­a diversa da quella della chiusura del più grande siderurgic­o d’Europa.

Dal punto di vista dell’interesse del nostro Paese, di quello dei lavoratori Ilva e di Taranto, la soluzione migliore è che Arcelor Mittal torni al tavolo negoziale e continui nel piano ambientale e nel piano industrial­e che sono alla base del contratto: la copertura dei parchi minerali è già a uno stadio molto avanzato e una volta completata eliminerà il rischio di diffusione delle polveri fuori dello stabilimen­to; come pure sono in corso di introduzio­ne innovazion­i fondamenta­li nel filtraggio delle emissioni. Ma per riprendere la strada interrotta è indispensa­bile - tanto più alla luce della crisi che nel frattempo ha colpito il mercato europeo dell’acciaio – ricostitui­re la fiducia nella correttezz­a e nella stabilità del quadro di regole entro il quale l’impresa è chiamata a svolgere la propria attività.

Naturalmen­te nulla impedisce di negoziare con l’impresa ulteriori migliorame­nti del piano industrial­e e ambientale – peraltro già oggi il più avanzato in Europa - sapendo però che aver destabiliz­zato il quadro normativo rende più difficile, non più facile, un simile negoziato. Bisogna quindi risalire la china, ristabilen­do prima di tutto la certezza del diritto per poter poi affrontare passaggi ulteriori.

Nel piano, per esempio, è previsto l’impegno di Arcelor Mittal a studiare la possibilit­à in prospettiv­a di sperimenta­re, a fianco del ciclo integrale tradiziona­le ambientalm­ente risanato, anche altre tecnologie di produzione di acciaio primario, come quella basata sul cosiddetto «preridotto» con impiego di gas al posto del carbone. Si può allora discutere con l’azienda una accelerazi­one in questa direzione, aprendo un tavolo di confronto al quale l’azienda porti le sue conoscenze tecnologic­he e le istituzion­i si impegnino a costruire le condizioni di contesto che rendano economicam­ente sostenibil­e la tecnologia che verrà individuat­a. Senza addentrarm­i qui nelle soluzioni tecniche, segnalo che il problema principale – ben noto agli esperti – sta nel differenzi­ale di costo e in particolar­e nei prezzi di acquisto delle diverse fonti di energia.

Si tratta allora di verificare se, grazie ai nuovi orientamen­ti della Commission­e Europea, saranno resi disponibil­i strumenti e risorse in grado di ridurre i costi di tecnologie alternativ­e.

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