Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
D’Amore, «L’immortale» «Il mio film dalla tv al cinema»
Parla Marco D’Amore (Ciro Di Marzio), domani a Bari per incontrare il pubblico
L’ultima volta che Marco D’Amore era apparso nei panni del boss Ciro Di Marzio il suo corpo affondava nelle acque del Golfo di Napoli, colpito al petto dall’amico Gennaro Savastano. Ha avuto ragione chi ha dubitato della morte del camorrista nel finale della terza stagione di Gomorra; non a caso il suo soprannome è l’immortale. Da oggi il personaggio più complesso e shakespeariano della serie arriva al cinema grazie al film L’Immortale, «un esperimento unico nel suo genere» che incrocia cinema e tv, di cui è regista e protagonista l’attore casertano. Marco D’Amore saluterà gli spettatori in sala domani, alle 20 allo Showville e alle 21 al Galleria, dove sabato alle 11.30 terrà un incontro con il pubblico a ingresso libero (precedenza per chi acquisterà il biglietto per una proiezione del film).
D’Amore, è stato difficile non svelare il destino di Ciro in questi mesi?
«Difficilissimo. Era la domanda ricorrente di tutti, ovunque: è morto davvero? Abbiamo ritenuto giusto tenere tutti all’oscuro della cosa: ho nascosto la verità anche ai miei colleghi sul set (ha diretto due episodi della quarta stagione, ndr) e soprattutto a mio fratello Salvatore Esposito».
Il film è un viaggio nella vita del boss?
«Nel film convivono l’infanzia dell’orfano Ciro, la sua educazione criminale e il suo presente in esilio, a Riga. Sono due dimensioni che si parlano continuamente. Il bambino nella Napoli post-terremoto e l’adulto che ritorna con la mente alle scelte compiute, da cui è impossibile tornare indietro».
C’è qualcosa della vita di Marco in Ciro?
«Cerco sempre di nutrirmi della realtà. Siamo coetanei: io ero nella pancia di mia madre durante il terremoto. Quello è stato un momento cruciale per la Campania: una collettività provava a ricostruirsi e tanti bambini erano lasciati alla mercé della criminalità».
Quindi L’Immortale è sia uno spin-off che un capitolo di Gomorra?
«Non lo definirei spin-off, perché non estrapola nulla. Si inserisce anzi nella narrazione della serie. È un tassello fondamentale per il suo sviluppo, un ponte tra la quarta stagione già andata in onda e la prossima. Però può essere visto anche da chi non ha seguito Gomorra, è la storia di un uomo e delle sue origini. Credo sia un esperimento cross-mediale del tutto inedito. Un’operazione dalle grandi ambizioni narrative e produttive».
Qual è la sua genesi?
«Io ho sempre scritto tante storie intorno a Ciro Di Marzio. Una di queste per me aveva la dignità per essere raccontata sul grande schermo, l’ho sottoposta a Riccardo Tozzi e Nicola Maccanico ed eccoci qui. È un passo importante nell’innovazione tra cinema e tv che speriamo possa essere seguito da altri».
Ciro sopravvive a tutto. Un camorrista “immortale” sa un po’ di epica, non crede?
«Ci ho pensato. In Gomorra sono morti 1500 criminali dopo una vita di violenza e dolore. Non rischiamo l’epica del personaggio, perché vivere per lui è una condanna quotidiana, la morte sarebbe la sua liberazione».
Ora la palla passa al pubblico, come la vede?
«Difficile dirlo, in questo momento il cinema italiano soffre di un disamore della gente. Mi auguro che il film emozioni molto e che il passaparola di conseguenza porti molte persone in sala».