Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
La luce di Matteo e Francesca è un farmaco
Due bambini di 8 e 9 anni ritrovano la vista grazie a una terapia sperimentata a Napoli
Due piccoli pazienti pugliesi di 8 e 9 anni affetti da una forma particolare di distrofia retinica ereditaria che li rendeva ipovedenti dalla nascita hanno recuperato la vista grazie a una tecnica innovativa eseguita per la prima volta in Italia nella Clinica oculistica dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. La terapia che ha realizzato il miracolo si chiama Luxturna, un farmaco nato da un protocollo d’intesa tra l’Università e la multinazionale Novartis.
Matteo,un bambino pugliese di otto anni, calcia il pallone nella penombra del cortile di casa come qualunque coetaneo. Sorride al cellulare che riprende la scena e ringrazia «i dottori».
Un mese fa per lui sarebbe stato impossibile correre giocare al calcio, scendere da solo per le scale, guardare le stelle di notte od osservare le nubi che disegnano animali fantastici nel cielo. Il suo mondo era fatto di visi offuscati, luci sfuocate, contorni impossibili da afferrare. Era affetto da distrofia retinica ereditaria, una malattia rara causata dal cattivo funzionamento di un gene denominato Rpe65. Destinato ad una progressiva perdita della vista, fino alla cecità completa, il bambino è stato sottoposto a Napoli presso la Clinica oculistica dell’ateneo Vanvitelli ad una terapia innovativa che gli ha permesso di recuperare la vista. Stesso destino per Francesca, sette anni, pugliese conelle me Matteo e come lui affetta da distrofia retinica ereditaria per un difetto del gene Rpe65. Anche lei ora gioca, corre, vive come dovrebbero poter fare tutti i bambini grazie alle cure che ha ricevuto all’ateneo Vanvitelli.
La terapia che ha realizzato il miracolo si chiama Luxturna, un farmaco nato da un protocollo d’intesa tra l’Università e la multinazionale Novartis e che è stato iniettato direttamente nella retina dei due bimbi durante un intervento chirurgico. Consente di correggere il gene difettoso. Il procedimento è stato illustrato ieri durante una conferenza stampa alla quale hanno partecipato, tra gli altri, il professore Giuseppe Paolisso, che è il rettore dell’università Vanvitelli, ed Antonio Giordano, che dirige l’azienda ospedaliera universitaria.
«Matteo e Francesca – ha spiegato la professoressa Francesca Simonelli, direttrice della Clinica Oculistica e coordinatrice della squadra che ha preso in carico da alcuni anni i due bimbi pugliesi – sono i primi pazienti trattati in Italia con questa metodologia. In Europa c’è un solo precedente. I risultati positivi sono stati evidenti dopo pochi giorni dall’intervento e consistono in uno straordinario miglioramento visivo anche condizioni di scarsa luminosità». La professoressa ha puntualizzato: «Per evitare false aspettative tengo a ribadire che questa cura è valida non per tutte le forme di distrofia retinica, ma solo per quelle determinate da mutazioni nel gene Rpe65».
Non è un caso che l’applicazione di una terapia così innovativa sia avvenuta alla Vanvitelli. Presso la Clinica Oculistica dell’ateneo, infatti, ha sede il Centro Malattie Oculari Rare, che lavora in sinergia con Telethon. Il Centro oltre dieci anni fa partecipò allo sviluppo clinico del farmaco, che ha portato all’ approvazione dello stesso da parte dell’Agenzia europea per i medicinali alla fine del 2018. Si apre ora la partita tra Novartis e l’agenzia italiana del farmaco per stabilire un prezzo al medicinale. Sarà importante che non sia così alto da risultare insostenibile per il Sistema sanitario nazionale affinché, dopo Matteo e Francesca, possano accedere alle cure contro la distrofia retinica Rpe65 tutti gli altri che ne hanno bisogno.
Simonelli Sono i primi pazienti trattati in Italia con questa medotologia
È una cura valida solo per le forme che hanno mutazioni nel gene Tpe65