Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Mittal chiede ancora cassa integrazione. No dei sindacati
Oggi a Taranto il presidente del Consiglio Conte. Il premier visiterà l’ospedale e incontrerà gli operai
È un Natale difficile, molto difficile, quello che si prepara a vivere una larga parte dei lavoratori dell’ex Ilva. Ieri ArcelorMittal ha convocato i sindacati per prospettargli ancora una proroga per tredici settimane della cig ordinaria per 1.273 persone. Fim, Fiom e Uilm hanno respinto questa ipotesi. Sarebbe la terza ondata di «cassa» e «di fronte a una fase così complessa» ne hanno chiesto la sospensione...
Intanto, oggi il premier Giuseppe Conte torna a Taranto: visiterà il reparto di Oncoematologia pediatrica dell’ospedale Santissima Annunciata intitolato qualche giorno fa a Nadia Toffa, e si recherà allo stabilimento siderurgico per salutare gli operai. Che sono preoccupati per gli scenari futuri.
I lavoratori maggiormente penalizzati saranno quelli della laminazione, del Treno lamiere e del Tubificio. I sindacati metalmeccanici hanno deciso di chiedere l’intervento del governo, attraverso il mille proroghe, per garantire un’integrazione salariale
differente dai massimali di cassa integrazione previsti ad oggi. Non soffrono però solo i lavoratori «sociali», ma anche i dipendenti delle ditte esterne impegnate nei servizi e nei lavori edili.
A causa della serrata dell’indotto e degli autotrasportatori che, a novembre, per otto giorni bloccò le portinerie dello stabilimento Fillea, Fiom e Filcams denunciano che «quegli operai oggi vedono nelle loro buste paghe gli effetti di quel blocco: giornate di assenza involontaria trasformate
in cassa integrazione, in permessi o ferie mai richieste. Capitolo a parte meriterebbero le scuse adottate da alcune imprese che hanno deciso di non pagare la tredicesima mensilità, a cui molte famiglie facevano riferimento per le imminenti festività natalizie».
La precarietà e l’incertezza che vive l’acciaio a Taranto trovano riflessi dentro la fabbrica e procurano ansia soprattutto in chi si trova in cassa integrazione, cioè chi vede la busta paga dimagrire anche del 55 per cento. Portare a casa 850 euro è come dipingere il Natale di grigio, privarlo di allegria. Fabio Boccuni, della Fiom, ha 37 anni, lavora al Treno nastri 1, è in cassa integrazione a zero ore. «Sono single, è vero — dice —– ma è dura lo stesso. Con 900 euro tiro a campare, il salario diminuisce, ma le spese sono sempre quelle. Ogni Natale è passato con la speranza che il prossimo fosse migliore, ma va sempre peggio e le rinunce che bisogna fare sono giornaliere. Guardi, pensavo che lavorando qui avrei avuto un posto fisso, ma ci ritroviamo più precari dei precari». Leonardo Doria, della Fim, ha 44 anni, sposato, due figli, anche lui è a zero ore. «Questo Natale è peggio degli anni scorsi — ammette con amarezza — adesso sono in cassa e con 850 euro è diventato difficile portare avanti la famiglia, si cerca di non far mancare nulla ma è impossibile, a qualcosa devi rinunciare, con quei soldi garantisci poco. Meno male che i figli, ai quali non facciamo mancare niente, capiscono le difficoltà. Devo dire che con
Mittal le cose sono peggiorate e con la nostra busta paga ormai ti chiudono tutte le porte in faccia. Vent’anni fa era diverso, ora sentono che sei dipendente Mittal e se vuoi un elettrodomestico ti chiedono il contante». «Faremo in modo che non sia un Natale triste, i regali ai bimbi non mancheranno, nessuno deve togliermi il sorriso in casa», dice Paolo Panarelli. È sposato, tre figli, sindacalista della Fim. «Le passerelle dei politici ricadono sulle nostre famiglie — commenta — quelli che gridano per la chiusura della fabbrica sono a stipendio pieno, chi invece lotta per la salute e occupazione è fuori dalla fabbrica e stringe la cinghia». Vincenzo Vestita, della Fiom, è sposato, non ha figli, ma la preoccupazione è grande lo stesso. «Comunque vada a finire non sarà più come prima — dice — la situazione è drammatica, non c’è più la sicurezza di una volta, il nostro pensiero fisso è non sapere cosa accadrà di qui a qualche settimana».
Le storie Fabio, Leonardo, Vincenzo e Paolo: il Natale amaro dei lavoratori di Taranto