Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
«I turisti vanno e vengono, bisogna pensare a chi vive qui»
Il lucano Amerigo Restucci, già rettore di Venezia, parla della riqualificazione e dell’identità cittadina Con un ricordo: ragazzino, seguendo il set di Pasolini
Allargare i confini culturali sotto il faro dell’identità più remota di Matera che, lo insegna la storia, non riguarda solo la città in sé, ma svela relazioni ben più profonde, affascinanti, antiche. L’architetto Amerigo Restucci illustra al Corriere del Mezzogiorno legami e ramificazioni dell’area, così ampia e ancora da aumentare. Con la visione di chi, solo per dirne alcune, è stato rettore dell’Università di Venezia; consigliere di amministrazione per la Biennale; componente del Consiglio superiore del ministero dei Beni culturali, e del Consiglio direttivo dell’Icomos-Unesco.
Cosa pensa del lavoro di riqualificazione svolto fino ad oggi a Matera?
«Mi sembra che qualche percorso sia stato avviato. Guarderei però maggiormente alle aree che circondano la città. Non soltanto ai paesi interni alla regione, ma anche a quelli della vicina Puglia. Matera è capitale della cultura non in nome di se stessa, ma di una identità fatta da più culture dentro a una storia intrecciata con luoghi e paesaggi circostanti. Direi che per il futuro si potrebbe insistere meglio e di più nella valorizzazione di questi collegamenti».
Si riferisce ad esempio alla progettazione, da lei curata, degli itinerari di Federico II di Svevia in Basilicata e in Puglia?
«Sì, sono queste le tracce che vanno portate avanti. Matera è stata capitale della Terra d’Otranto fino a tutto il Settecento. Lo dimostrano i segni architettonici, vicini alle tematiche pugliesi, leccesi nel particolare. Riscoprire una identità legata a questi territori mi parrebbe la cosa più stimolante da portare avanti».
Quali legami si creano, nell’ambito di questi percorsi, tra riqualificazione, turismo e sviluppo economico?
«Da quello che mi risulta è cresciuta l’offerta potenziale di Matera in termini di ricettività, di ristorazione e altro. Adesso però bisogna stare attenti a non sperperare i valori della città. Si dovrebbe rammagliare un po’ meglio questa proliferazione di attività turistiche al tessuto della città, pensando alla riqualificazione degli spazi di vita abituali. Il turista c’è e poi va via. Chi invece vive un luogo ha bisogno di vederne riconvertiti i contesti, urbani e non. Le energie e le persone che possano dare un contributo ci sono».
In tema di gestione e utilizzo degli spazi, quanto ne risente la qualità della vita?
«Questo è un argomento che stanno affrontando tutte le città. Quelle europee, con una serie di tematiche che portano avanti correttamente: penso a Lione, a Madrid o ad alcune realtà in Svizzera. Così Matera, in qualità di capitale europea, potrebbe ancora essere antesignana di proposte che spieghino come proprio la riqualificazione degli spazi urbani sia un elemento che può trovare consenso nei confronti degli abitanti. In Italia ciò avviene ad esempio a Milano o a Firenze, dove i piani di recupero sono oggetto del pubblico. I Comuni siano dunque portatori di proposte di cambiamento e di qualità».
Di questi giorni la discussione sulla temuta demolizione, smentita dal sindaco De Ruggieri, della scuola Nitti di Serra Venerdì, realizzata da Piccinato. Qual è l’atteggiamento più idoneo di fronte a questo tipo di architetture?
«Al di là del caso specifico, parlando in generale, i segni di qualità dell’architettura moderna andrebbero mantenuti. Matera è sempre stata al centro dell’attenzione per le sue peculiarità. È citata in tutti volumi di Storia dell’architettura e dell’urbanistica italiana. Ci sono edifici preziosi, fatti dalle migliori firme del secondo dopoguerra: tenderei a mantenerli. La città così potrebbe essere ancora depositaria di messaggi culturali».
Quando cambiava Matera, negli anni della legge per lo sfollamento dei Sassi, lei era un bambino. Le va di condividere un ricordo?
«È una domanda che io pongo a me stesso, alla scoperta di Matera con la sua arretratezza, col vivere nella parte che è stata poi cantata come la zona storica. Divenuta identità della città nella cultura europea dei Sassi. Secondo le ricerche fatte nel ‘50 si poteva risanare almeno il 50% delle abitazioni, mentre quelle più troglodite e scavate nella roccia tufacea furono abbandonate. Io ho questa visione nella memoria: un universo contadino reso magico dall’abbandono. A quel punto diventò una scenografia usata per tutte le situazioni filmiche. Ho l’immagine di un Pasolini che girava per trovare i luoghi ideali per il film che più restituisce quella identità:
Il vangelo secondo Matteo. Intravedo ancora quest’uomo che camminava. Ero solo un ragazzino. Gli andavo dietro, invitato da Rocco Mazzarone che lo accompagnava. La mia emozione fu tale da segnarmi anche nel percorso futuro. Oggi, come Ulisse ha nostalgia della petrosa Itaca, così io dei petrosi Sassi. Ma anche di Tricarico dove ho vissuto da ragazzo».
Quanto contano la bellezza e l’educazione a essa?
«La settimana scorsa ho presentato a Firenze un libro su Macchiavelli. Il principe per noi oggi è lo Stato. Se i soggetti pubblici non educano al rispetto reciproco, se non mantengono per primi l’identità civica e culturale, perdono il ruolo di incisività. L’appello in questo momento è proprio a chi governa nelle varie sedi, perché si faccia modello di etica per poi darne comunicazione a quelli che ci stanno intorno».