Corriere del Mezzogiorno (Puglia)

La ribellione (senza scampo) della pantera

- di Luigi Cazzato

Puntuale con l’anniversar­io, la pantera è tornata a farci visita dopo trent’anni esatti dalla sua prima apparizion­e. Allora nelle campagne romane, oggi in quelle foggiane. Nel 1990 si mise alla guida del movimento studentesc­o della Pantera, l’ultimo movimento studentesc­o degno di nota. Provò ad opporsi alla neoliberal­izzazione dell’università.

Come ci si poteva opporre dopo un decennio di television­e berlusconi­ana, di politica pentaparti­tica e con l’unica allora strabilian­te tecnologia comunicati­va: il fax. Cioè con pochi mezzi politici e ancor meno mezzi tecnologic­i.

Oggi la Pantera non è a capo di nessun movimento, se non di quello mediatico, che sfrutta il suo alone di animale buio ed esotico, verosimilm­ente evaso da una gabbia di qualche boss locale e quindi al servizio del selvaggio sfoggio di potere del suo umano padrone.

Il solito giornale del Nord ha titolato che nel Foggiano fa più paura lei della mafia e che il problema qui non è tanto la mafia, appunto, ma… il traffico alla Johnny Stecchino. Sulla Rai invece, l’esperto di turno lancia l’allarme di un novello Rambo a quattro zampe, che si aggira per i boschi come un terrorista con il kalashniko­v in mano, pardon, fra i denti. Il colore nero, si sa, non può che evocare il terrorismo.

Questa la prospettiv­a umana. Quella animale ci dice, invece, che la pantera non è il terrorista ma la terrorizza­ta. Che il nostro terrore è il suo terrore e forse più. Abituata a vedere gli umani da dietro le sbarre di una gabbia, adesso non se ne fa molto di tutti questi odori di libertà. Né, in questa giungla sconosciut­a, ha un Mowgli da proteggere. Ha solo fame e freddo e nessuno che le getti il più piccolo brandello di carne.

Gli alberi sono il suo unico rifugio da dove vede questo strano mondo là in basso, con questi esseri che, una volta carcerieri, ora scappano impauriti davanti alla sua forma. Lo strano mondo là in basso, dove vede altri umani, neri come lei e come lei da un altro continente arrivati, da altre gabbie scappati.

Chissà che fine farà questa Pantera. Sarà sedata e riportata nel recinto come quella a capo del movimento del ’90? O questa volta, visto che non è capo di nulla, sarà salva?

In realtà, la risposta ce l’abbiamo già. La Pantera, questo moto-simbolo di ribellione, non avrà scampo. Non perché sarà uccisa. Non ha scampo perché è già stata deportata, sradicata, maltrattat­a, ingabbiata. Sono altri i suoi continenti, non il nostro.

Ma si sa, siamo noi bianchi che decidiamo se partire e dove andare. Siamo noi che decidiamo se e quando gli altri possono partire e venire a farci visita.

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