Corriere del Mezzogiorno (Puglia)
Riccardo Scamarcio: «Amo fare film e mi piacciono i cattivi»
Intervista all’attore pugliese, da oggi nelle sale con «Il ladro di giorni» di Guido Lombardi
Un viaggio di «speranza» dal Trentino alla Puglia. La scoperta reciproca tra un padre appena uscito di galera, Vincenzo, e Salvo, il figlio undicenne cresciuto dagli zii materni. Sono passati sette anni dall’ultima volta che si sono visti. Diffidenze, estraneità, un rapporto da ricostruire nel corso di un on the road lungo la penisola pieno di incontri e imprevisti. Alla ricerca di un uomo misterioso che ha tradito Vincenzo anni prima, appunto Il ladro di giorni che dà il titolo al film di Guido Lombardi, tratto dal suo omonimo romanzo; da oggi nelle sale distribuito da Vision, girato anche in Puglia tra Bari e Gravina e interpretato dal piccolo Augusto Zazzaro e da Riccardo Scamarcio.
Scamarcio, cosa racconta il vostro viaggio?
«Per Vincenzo è un viaggio di speranza. Grazie a un permesso di pochi giorni ritrova il figlio quasi adolescente che non vede da anni. Decide di portarlo via con sé e partire in direzione Bari; la Puglia nel film ha un ruolo centrale, anche se abbiamo girato pure a Matera e in Cilento. Un viaggio da nord a sud che ha un duplice scopo: portare a termine una missione criminale, capire chi l’ha incastrato e al contempo risistemare le cose nella sua vita. Vincenzo non è un vero cattivo, è un guascone pasticcione che cerca di sopravvivere come può».
Quali sono le sue intenzioni nei confronti di Salvo?
«In principio è utile per non destare sospetti, ma inconsciamente Vincenzo sa che è l’unico pezzo di famiglia che gli rimane, l’unica cosa buona della sua vita. Stare insieme lo aiuterà a comprendere l’amore atavico tra padre e figlio, qualcosa di cui non è consapevole, un amore non esplicitato che prende forma durante il viaggio, superando le distanze».
Ha un modo particolare di prepararsi per interpretare un criminale?
«Non sono solo criminali. Sono esseri umani, persone. Hanno caratteristiche specifiche, certo, sono decisi, guardinghi. Ci si lavora anche grazie alla costruzione estetica, i capelli, i tatuaggi. Però è fondamentale l’aspetto mentale ed emotivo, l’adesione a un modo di ragionare. C’è una ragione importante, che a volte si tende a banalizzare, per la quale il cinema e la letteratura così attratti dal crimine».
Quale?
«L’arte è famelica di vite estreme, al limite. Le dinamiche dei sentimenti – l’amore, l’amicizia, il tradimento – sono rese più evidenti dalle situazioni di rischio. Il dramma, la difficoltà innesca nello spettatore, o dovrebbe farlo, un meccanismo di attenzione e di empatia. Il pubblico deve trovare un punto di contatto con il proprio vissuto per ricospiega noscersi in un personaggio. In questo caso, mi interessa la compassione che suscita questo padre. Per me Il ladro di giorni è anche un melò che non ha paura di emozionare il pubblico».
Intanto è passato ai ruoli da padre, gli anni passano.
«Mi era già capitato con La prima luce di Marra, già da un po’ non mi fanno fare più il figlio, sono nella fase di mezzo, tra un po’ arriveranno quelli da nonno».
Vive il momento migliore della sua carriera. Sembra che stia cercando di alternare grandi progetti - Golino, Sorrentino, il prossimo film di Nanni Moretti, Tre piani, e l’esordio di Ginevra Elkann, Magari, che ha aperto il festival di Locarno - a film più piccoli di registi meritevoli di attenzione, è così?
«Non è una scelta consapevole. Dipende dalle persone e dai progetti che incontro. È importante lo scopo “politico” di un progetto, inteso come modalità di analisi dell’umanità, le intenzioni che muovono l’autore. Se coincidono con le mie, mi sento coinvolto. Di base, amo il cinema e mi piace fare film».
Anche come produttore. A cosa sta lavorando?
«Sarò attore e produttore di L’ultimo paradiso, regia di Rocco Ricciardulli, che abbiamo girato a Gravina, ora in fase di montaggio, e di Gli infedeli, commedia sull’infedeltà maschile che uscirà in autunno con me, Valerio Mastandrea e Laura Chiatti. Poi un horror e tante altre cose».